Il tema della responsabilità e quello del senso di colpa sono molto centrali per quanto riguarda lo sviluppo personale. Molto semplicemente il genere umano è affetto da una duplice malattia: non si assume sufficientemente responsabilità e vive e fa vivere agi altri sensi di colpa. Una delle cose che più mi stupiscono è vedere come nella nostra cultura il concetto di responsabilità venga associato a quello di colpa e come i due siano usati quasi come sinonimi. La realtà non solo è diversa ma addirittura opposta: una persona è tanto più in grado di assumersi delle responsabilità quanto meno ragiona in termini di colpa. Una persona in preda ai sensi di colpa rimane paralizzata e non compie proprio alcuna azione responsabile; parimenti chi da la colpa agli altri si vede come vittima e quindi crede che le azioni responsabili dovrebbe farle l’altro per rimediare ai suoi errori. Insomma colpa e responsabilità occupano uno stesso spazio all’interno dell’individuo e l’una può crescere solo nella misura in cui l’altra si riduce.
La colpa, dal punto di vista umano, non esiste, ma esiste la responsabilità delle proprie azioni. Mi sto riferendo alla colpa in senso morale, quella che di fatto ci affligge interiormente, quella che nel profondo della nostra psiche ci tortura e ci attira punizioni e dolore. Mi sto riferendo al senso di colpa cronico, non adeguato a situazioni reali di errore. La colpa invece esiste ed è molto utile a livello giuridico, campo quest’ultimo che appartiene più al regno delle scienze esatte che non a quello umano in senso ampio.
Una altra capitale differenza è quella tra il concetto di colpa e quello di pentimento: anche questi nella nostra cultura vengono facilmente sovrapposti mentre in realtà descrivono, parallelamente a quelli di responsabilità e colpa, realtà di fatto opposte. La colpa è generalmente più superficiale mentre il pentimento è profondo. Nel pentimento uno assume responsabilità per i propri errori e vuole fare qualcosa per risanarli, nella colpa rimane paralizzato dall’errore che non dovrebbe aver fatto (e ciò ovviamente minaccia la propria nevrotica immagine idealizzata di perfezione). Nel pentimento vi è una reale preoccupazione per ciò che di male si è fatto all’altro, mentre nella colpa il dolore rimane confinato nella lotta tra se e se consistente nel chiedersi il motivo di tale orribile azione compiuta, trascurando di fatto il dolore altrui, rimanendo cioè pura ferita narcisistica (e adesso cosa penseranno gli altri di me?). Il pentimento ancora crea un vero cambiamento nel comportamento, mentre il senso di colpa inibisce globalmente l’individuo, fino al prossimo errore di natura simile. Il pentimento apre la persona agli altri e alla comunicazione che diviene altissima: una persona che offre all’altra il proprio cuore che implora perdono vive un momento di vulnerabilità e apertura spesso straordinari. Il senso di colpa al contrario chiude l’individuo agli altri e alla comunicazione: la vergogna fa assumere una maschera e falsifica la comunicazione, e a volte questa può addirittura venire evitata. Ed è forse questo comune e tipico comportamento dipendente dalla colpa, vale a dire l’evitare di comunicare con le persone con le quali abbiamo sbagliato, che rivela il carattere narcisistico e egoistico della colpa, il preoccuparsi cioè della propria sofferenza e della propria immagine più che non di sanare la ferita altrui.
Una persona afflitta da sensi di colpa vive in realtà in un doppio ruolo: da una parte si affligge e si fustiga con una frusta invisibile, dall’altra, proprio per non aumentare questo penoso stato di essere, tipicamente si rifiuta di guardare veramente in faccia la realtà e alla lunga finisce con il dare la colpa a qualcun altro. La regola è che chi si sente in colpa prima o poi darà la colpa a qualcun altro e in queso modo eviterà di assumersi la responsabilità per i propri errori. E tutto ciò è ovvio in quanto la colpa in se e per se è comunque un filtro che distorce la realtà, in qualsiasi direzione la si usi, sia per osservare il proprio comportamento che quello altrui. E chi osserva se stesso da dietro un filtro di colpa ovviamente userà lo stesso filtro per gli altri. Vorrei condividere una osservazione che ho potuto fare lavorando in psicoterapia con persone afflitte gravemente da tematiche di colpa. Molto spesso chi si sente in colpa non accetta consigli nè suggerimenti: questo succede perchè egli è così tanto preso dal resistere dentro di sè alla colpa, dal giustificare i propri comportamenti, dal cercare di provare a se stesso di essere innocente e dal trovare errori negli altri per dare una spiegazione logica del motivo per cui alcune cose nella sua vita non funzionino, che finisce per non accettare critica alcuna. Nella sua mente vive l’equazione “errore=colpa” per cui qualsiasi errore gli si faccia notare, egli lo interpreta acriticamente come prova della colpevolezza dalla quale si difende; il risultato finale è che egli nega i propri errori per non sentirsi in colpa. Non vedendo i propri errori ovviamente continuerà a compiere gli stessi sbagli e così via. Scatta così intorno alla colpa un terribile circolo vizioso che rende cieca una presona nei confronti dei propri errori ma soprattutto riguardo ad una importante e basica verità: comunemente gli esseri umani non sono perfetti! In altre parole la colpa da una parte fa negare gli errori reali, dall’altra fa credere di dover essere già perfetti. Risulta evidente che chi parte da tali premesse non potrà che fallire nel proprio ideale di perfezione finendo inevitabilmente per sentirsi colpevole di errori anche comuni..
Analizzare il fenomeno della colpa può essere molto interessante. E per comprendere a fondo quello di colpa bisogna comprendere quello ad esso così collegato di cattiveria; io credo che gli esseri umani non siano cattivi, ma che siano schiavi di cattivi comportamenti per immaturità. Non cattivi quindi, ma immaturi. La mia ipotesi è che la cattiveria e la colpa non esistano in natura ma che questi due concetti siano stati inventati da uomini scaltri per manipolare, assoggettare e paralizzare uomini ingenui. Un albero esiste in natura prima che un essere umano si formi una idea di esso, trovi una etichetta e la condivida con altri nel suo gruppo (“albero” qui in Italia, “tree” in Inghilterra, ecc.). Io credo che i concetti così condivisi e radicati di cattiveria e colpa siano etichette che gli uomini hanno creato dal nulla appicicando tali terribili giudizi alla immaturità altrui nel tentativo di spiegarla ma soprattutto di cambiare l’altro a proprio piacere e secondo il proprio desiderio. In fondo in fondo la colpa nasce come un bisogno di prendere potere sugli altri. E in questo caso il potere viene acquisito in un modo molto subdolo, cioè mediante un sottile ricatto che investe la parte più nobile e profonda dell’essere umano e che suona pressapoco così: “Comportati come dico io altrimenti tu sei cattivo nel tuo vero essere, nel tuo cuore”.
Prendiamo un esempio molto comune. Giovanna dice a Enrico, suo partner:-Quando mi parli in questo modo mi fai sentire triste. E ancora la mamma dice al bambino:-Non fare il cattivo se no io morirò per questo.
Quando una persona da la colpa ad un’altra non sente di essere completamente fuori strada perchè questo genere di errore spesso non è immediatamente visibile, in quanto fa leva su false credenze molto diffuse e condivise nella nostra cultura dominante. Ad esempio Giovanna dicendo “mi fai sentire” afferma che gli altri hanno il potere e quindi la responsabilità delle sue emozioni e non lei. Quando la mamma dice “mi farai morire” di fatto afferma che il bambino ha potere di vita o di morte su di lei, e quindi è il bambino che è responsabile della vita della madre! La realtà è che ognuno è completamente responsabile, al 100%, di tutte le sue emozioni, pensieri e comportamenti e di quelli di nessun altro. Ciò che di fatto succede è spesso invece il contrario, cioè che rendiamo responsabili gli altri se facciamo un qualcosa (“non potevo fare altrimenti”, “e allora cosa avrei dovuto fare”, “me le ha tirate fuori dalle mani” “allora ho dovuto picchiarlo” “allora gli ho fatto vedere che io non sono un fesso” ecc.) se pensiamo un qualcosa (“perchè tu in quel caso cosa avresti pensato?”, “lui pensa che io sono stupido e allora io penso che lo stupido è lui” “quando lo incontro non posso che fare cattivi pensieri” “chiunque pensa male di lui” ecc.) e soprattutto delle nostre emozioni (“lui mi fa sentire stupido”, “lei mi fa sentire rifiutato”, “mio figlio mi fa arrabbiare sempre”, “mia moglie mi rende felice”, ecc.). Dall’altro lato spesso abbiamo paura di ferire o crediamo che dobbiamo rendere felici gli altri, e ci attribuiamo un potere onnipotente che di fatto non abbiamo. Conosco persone che credono che devono e possono aiutare gli altri a essere felici o a cambiare: da anni fanno sforzi incredibili e la risposta che ricevono è sempre la stessa: non funziona a niente, l’altro invece di cambiare in positivo peggiora e loro si sentono sempre più colpevoli e impotenti. Tutto ciò è assolutamente ovvio: non è possibile creare emozioni pensieri e comportamenti nell’altro, ma solo creare condizioni che favoriscono o ostacolano le scelte altrui. Ma la responsabilità finale della scelta, positiva o negativa che sia, e il potere di effettuarla appartengono soltanto all’individuo, Anche di fronte a una pistola una persona decide di sottomettersi, un’altra di farsi ammazzare, La scelta finale è dell’individuo. La responsabilità finale è dell’individuo. E proprio nelle tematiche riguardanti la colpa tale responsabilità viene “regalata” a un altra persona, sia nel senso di darla ad altri per evitare di prendersela, sia nel senso di prendersi quella degli altri per non sentirsi in colpa.
Nella genere umano uno dei meccanismi principali del mantenimento di tutto ciò che è negativo riguarda proprio la colpa. Infatti da sempre gli esseri umani in difficoltà cadono nel vecchio gioco: trovare il colpevole. Nelle culture antiche si facevano dei sacrifici per pagare il tributo della colpa. Immaginiamo un gruppo di amici che sta facendo un viaggio. Se le condizioni ambientali iniziano ad essere difficoltose ed iniziano le prime avversità, gli esseri umani entrano in stress ed iniziano a soffrire. A questo punto scatta il meccanismo cieco e antico del “trovare il colpevole”, Ognuno cerca di spiegarsi il motivo della sofferenza a modo suo e immediatamente, obbedendo al vecchi meccanismo di trovare qualcosa di esterno con cui prendersela, osserva il comportamento degli altri, trova un qualsiasi difetto e a qule punto, voilà, è stato trovato il colpevole e ansie e sofferenze vengono scaricate su quella persona che diventa il “capro espiatorio” (tale parola ovviamente richiama l’antica usanza di usare un animale sacrificale per scaricare le tendenze aggressive di un gruppo). Nella storia dell’umanità possiamo notare quanto l’atteggiamento di cercare una causa esterna del male sia frequente. La grande cecità consiste nel credere a tale parziale e deresponsabilizzante interpretazione. Guerre, crociate, persecuzioni razziali, fenomeni di intolleranza, rivoluzioni, spargimenti di sangue, faide, omicidi passionali, vendette di gruppo, terrorismo, sono evidenti fenomeni su scala sociale conseguenti a questo atteggiamento di vedersi sempre vittime di un qualcosa di esterno senza esaminare la propria parte di responsabilità e giustificando quindi azioni atroci innalzando sopra di esse una bandiera di giustizia. Ma se dal piano sociale scendiamo a quello individuale e famigliare, a noi più vicino, il fenomeno del trovare il colpevole fuori di noi e conferire ad esso la responsabilità per le nostre sofferenze e per la nostra mancata autorealizzazione si fa estremamente evidente: “se non fosse stato per tuo padre io...” “se tua madre fosse stata... allora io...” “mio marito e violento e mi trascura e io...” “mia moglie è una rompiballe e allora io...” “soffro perchè i miei figli non vanno bene a scuola” “soffro perchè non posso vederti in queste condizioni” “quella donna mi renderà felice”.
Dare la colpa a qualcosa di esterno non è riferito soltanto a delle persone: spesso si dà la colpa alla società, alle situazioni, al tempo (vedi metereopatie varie)al progresso, all’ignoranza, al destino, a Dio. A volte l’atteggiamento di trovare il colpevole per scaricare le proprie responsabilità e vedersi come vittime impotenti assume delle sfumature molto sottili: mi sto riferendo al dare la colpa all’inconscio, ai condizionamenti, alle energie. Ancora può arrivare a risvolti deliranti: la colpa è degli U.F.O., degli extraterrestri, delle onde magnetiche.
Sentirsi in colpa costa meno sforzo di fare concretamente qualcosa per rimediare ad un errore ma alla lunga si rivela svantaggioso. In realtà l’assumersi concretamente la responsabilità della propria vita, dei propri pensieri, emozioni e comportamenti e dare un calcio al peso ossessionante dei sensi di colpa rappresenta l’unica strada per la realizzazione e la felicità.
La colpa, dal punto di vista umano, non esiste, ma esiste la responsabilità delle proprie azioni. Mi sto riferendo alla colpa in senso morale, quella che di fatto ci affligge interiormente, quella che nel profondo della nostra psiche ci tortura e ci attira punizioni e dolore. Mi sto riferendo al senso di colpa cronico, non adeguato a situazioni reali di errore. La colpa invece esiste ed è molto utile a livello giuridico, campo quest’ultimo che appartiene più al regno delle scienze esatte che non a quello umano in senso ampio.
Una altra capitale differenza è quella tra il concetto di colpa e quello di pentimento: anche questi nella nostra cultura vengono facilmente sovrapposti mentre in realtà descrivono, parallelamente a quelli di responsabilità e colpa, realtà di fatto opposte. La colpa è generalmente più superficiale mentre il pentimento è profondo. Nel pentimento uno assume responsabilità per i propri errori e vuole fare qualcosa per risanarli, nella colpa rimane paralizzato dall’errore che non dovrebbe aver fatto (e ciò ovviamente minaccia la propria nevrotica immagine idealizzata di perfezione). Nel pentimento vi è una reale preoccupazione per ciò che di male si è fatto all’altro, mentre nella colpa il dolore rimane confinato nella lotta tra se e se consistente nel chiedersi il motivo di tale orribile azione compiuta, trascurando di fatto il dolore altrui, rimanendo cioè pura ferita narcisistica (e adesso cosa penseranno gli altri di me?). Il pentimento ancora crea un vero cambiamento nel comportamento, mentre il senso di colpa inibisce globalmente l’individuo, fino al prossimo errore di natura simile. Il pentimento apre la persona agli altri e alla comunicazione che diviene altissima: una persona che offre all’altra il proprio cuore che implora perdono vive un momento di vulnerabilità e apertura spesso straordinari. Il senso di colpa al contrario chiude l’individuo agli altri e alla comunicazione: la vergogna fa assumere una maschera e falsifica la comunicazione, e a volte questa può addirittura venire evitata. Ed è forse questo comune e tipico comportamento dipendente dalla colpa, vale a dire l’evitare di comunicare con le persone con le quali abbiamo sbagliato, che rivela il carattere narcisistico e egoistico della colpa, il preoccuparsi cioè della propria sofferenza e della propria immagine più che non di sanare la ferita altrui.
Una persona afflitta da sensi di colpa vive in realtà in un doppio ruolo: da una parte si affligge e si fustiga con una frusta invisibile, dall’altra, proprio per non aumentare questo penoso stato di essere, tipicamente si rifiuta di guardare veramente in faccia la realtà e alla lunga finisce con il dare la colpa a qualcun altro. La regola è che chi si sente in colpa prima o poi darà la colpa a qualcun altro e in queso modo eviterà di assumersi la responsabilità per i propri errori. E tutto ciò è ovvio in quanto la colpa in se e per se è comunque un filtro che distorce la realtà, in qualsiasi direzione la si usi, sia per osservare il proprio comportamento che quello altrui. E chi osserva se stesso da dietro un filtro di colpa ovviamente userà lo stesso filtro per gli altri. Vorrei condividere una osservazione che ho potuto fare lavorando in psicoterapia con persone afflitte gravemente da tematiche di colpa. Molto spesso chi si sente in colpa non accetta consigli nè suggerimenti: questo succede perchè egli è così tanto preso dal resistere dentro di sè alla colpa, dal giustificare i propri comportamenti, dal cercare di provare a se stesso di essere innocente e dal trovare errori negli altri per dare una spiegazione logica del motivo per cui alcune cose nella sua vita non funzionino, che finisce per non accettare critica alcuna. Nella sua mente vive l’equazione “errore=colpa” per cui qualsiasi errore gli si faccia notare, egli lo interpreta acriticamente come prova della colpevolezza dalla quale si difende; il risultato finale è che egli nega i propri errori per non sentirsi in colpa. Non vedendo i propri errori ovviamente continuerà a compiere gli stessi sbagli e così via. Scatta così intorno alla colpa un terribile circolo vizioso che rende cieca una presona nei confronti dei propri errori ma soprattutto riguardo ad una importante e basica verità: comunemente gli esseri umani non sono perfetti! In altre parole la colpa da una parte fa negare gli errori reali, dall’altra fa credere di dover essere già perfetti. Risulta evidente che chi parte da tali premesse non potrà che fallire nel proprio ideale di perfezione finendo inevitabilmente per sentirsi colpevole di errori anche comuni..
Analizzare il fenomeno della colpa può essere molto interessante. E per comprendere a fondo quello di colpa bisogna comprendere quello ad esso così collegato di cattiveria; io credo che gli esseri umani non siano cattivi, ma che siano schiavi di cattivi comportamenti per immaturità. Non cattivi quindi, ma immaturi. La mia ipotesi è che la cattiveria e la colpa non esistano in natura ma che questi due concetti siano stati inventati da uomini scaltri per manipolare, assoggettare e paralizzare uomini ingenui. Un albero esiste in natura prima che un essere umano si formi una idea di esso, trovi una etichetta e la condivida con altri nel suo gruppo (“albero” qui in Italia, “tree” in Inghilterra, ecc.). Io credo che i concetti così condivisi e radicati di cattiveria e colpa siano etichette che gli uomini hanno creato dal nulla appicicando tali terribili giudizi alla immaturità altrui nel tentativo di spiegarla ma soprattutto di cambiare l’altro a proprio piacere e secondo il proprio desiderio. In fondo in fondo la colpa nasce come un bisogno di prendere potere sugli altri. E in questo caso il potere viene acquisito in un modo molto subdolo, cioè mediante un sottile ricatto che investe la parte più nobile e profonda dell’essere umano e che suona pressapoco così: “Comportati come dico io altrimenti tu sei cattivo nel tuo vero essere, nel tuo cuore”.
Prendiamo un esempio molto comune. Giovanna dice a Enrico, suo partner:-Quando mi parli in questo modo mi fai sentire triste. E ancora la mamma dice al bambino:-Non fare il cattivo se no io morirò per questo.
Quando una persona da la colpa ad un’altra non sente di essere completamente fuori strada perchè questo genere di errore spesso non è immediatamente visibile, in quanto fa leva su false credenze molto diffuse e condivise nella nostra cultura dominante. Ad esempio Giovanna dicendo “mi fai sentire” afferma che gli altri hanno il potere e quindi la responsabilità delle sue emozioni e non lei. Quando la mamma dice “mi farai morire” di fatto afferma che il bambino ha potere di vita o di morte su di lei, e quindi è il bambino che è responsabile della vita della madre! La realtà è che ognuno è completamente responsabile, al 100%, di tutte le sue emozioni, pensieri e comportamenti e di quelli di nessun altro. Ciò che di fatto succede è spesso invece il contrario, cioè che rendiamo responsabili gli altri se facciamo un qualcosa (“non potevo fare altrimenti”, “e allora cosa avrei dovuto fare”, “me le ha tirate fuori dalle mani” “allora ho dovuto picchiarlo” “allora gli ho fatto vedere che io non sono un fesso” ecc.) se pensiamo un qualcosa (“perchè tu in quel caso cosa avresti pensato?”, “lui pensa che io sono stupido e allora io penso che lo stupido è lui” “quando lo incontro non posso che fare cattivi pensieri” “chiunque pensa male di lui” ecc.) e soprattutto delle nostre emozioni (“lui mi fa sentire stupido”, “lei mi fa sentire rifiutato”, “mio figlio mi fa arrabbiare sempre”, “mia moglie mi rende felice”, ecc.). Dall’altro lato spesso abbiamo paura di ferire o crediamo che dobbiamo rendere felici gli altri, e ci attribuiamo un potere onnipotente che di fatto non abbiamo. Conosco persone che credono che devono e possono aiutare gli altri a essere felici o a cambiare: da anni fanno sforzi incredibili e la risposta che ricevono è sempre la stessa: non funziona a niente, l’altro invece di cambiare in positivo peggiora e loro si sentono sempre più colpevoli e impotenti. Tutto ciò è assolutamente ovvio: non è possibile creare emozioni pensieri e comportamenti nell’altro, ma solo creare condizioni che favoriscono o ostacolano le scelte altrui. Ma la responsabilità finale della scelta, positiva o negativa che sia, e il potere di effettuarla appartengono soltanto all’individuo, Anche di fronte a una pistola una persona decide di sottomettersi, un’altra di farsi ammazzare, La scelta finale è dell’individuo. La responsabilità finale è dell’individuo. E proprio nelle tematiche riguardanti la colpa tale responsabilità viene “regalata” a un altra persona, sia nel senso di darla ad altri per evitare di prendersela, sia nel senso di prendersi quella degli altri per non sentirsi in colpa.
Nella genere umano uno dei meccanismi principali del mantenimento di tutto ciò che è negativo riguarda proprio la colpa. Infatti da sempre gli esseri umani in difficoltà cadono nel vecchio gioco: trovare il colpevole. Nelle culture antiche si facevano dei sacrifici per pagare il tributo della colpa. Immaginiamo un gruppo di amici che sta facendo un viaggio. Se le condizioni ambientali iniziano ad essere difficoltose ed iniziano le prime avversità, gli esseri umani entrano in stress ed iniziano a soffrire. A questo punto scatta il meccanismo cieco e antico del “trovare il colpevole”, Ognuno cerca di spiegarsi il motivo della sofferenza a modo suo e immediatamente, obbedendo al vecchi meccanismo di trovare qualcosa di esterno con cui prendersela, osserva il comportamento degli altri, trova un qualsiasi difetto e a qule punto, voilà, è stato trovato il colpevole e ansie e sofferenze vengono scaricate su quella persona che diventa il “capro espiatorio” (tale parola ovviamente richiama l’antica usanza di usare un animale sacrificale per scaricare le tendenze aggressive di un gruppo). Nella storia dell’umanità possiamo notare quanto l’atteggiamento di cercare una causa esterna del male sia frequente. La grande cecità consiste nel credere a tale parziale e deresponsabilizzante interpretazione. Guerre, crociate, persecuzioni razziali, fenomeni di intolleranza, rivoluzioni, spargimenti di sangue, faide, omicidi passionali, vendette di gruppo, terrorismo, sono evidenti fenomeni su scala sociale conseguenti a questo atteggiamento di vedersi sempre vittime di un qualcosa di esterno senza esaminare la propria parte di responsabilità e giustificando quindi azioni atroci innalzando sopra di esse una bandiera di giustizia. Ma se dal piano sociale scendiamo a quello individuale e famigliare, a noi più vicino, il fenomeno del trovare il colpevole fuori di noi e conferire ad esso la responsabilità per le nostre sofferenze e per la nostra mancata autorealizzazione si fa estremamente evidente: “se non fosse stato per tuo padre io...” “se tua madre fosse stata... allora io...” “mio marito e violento e mi trascura e io...” “mia moglie è una rompiballe e allora io...” “soffro perchè i miei figli non vanno bene a scuola” “soffro perchè non posso vederti in queste condizioni” “quella donna mi renderà felice”.
Dare la colpa a qualcosa di esterno non è riferito soltanto a delle persone: spesso si dà la colpa alla società, alle situazioni, al tempo (vedi metereopatie varie)al progresso, all’ignoranza, al destino, a Dio. A volte l’atteggiamento di trovare il colpevole per scaricare le proprie responsabilità e vedersi come vittime impotenti assume delle sfumature molto sottili: mi sto riferendo al dare la colpa all’inconscio, ai condizionamenti, alle energie. Ancora può arrivare a risvolti deliranti: la colpa è degli U.F.O., degli extraterrestri, delle onde magnetiche.
Sentirsi in colpa costa meno sforzo di fare concretamente qualcosa per rimediare ad un errore ma alla lunga si rivela svantaggioso. In realtà l’assumersi concretamente la responsabilità della propria vita, dei propri pensieri, emozioni e comportamenti e dare un calcio al peso ossessionante dei sensi di colpa rappresenta l’unica strada per la realizzazione e la felicità.