IL SUICIDIO:
DOLORE E DEPRESSIONE
Il rischio di suicidio, per le persone con diagnosi di disturbo dell’umore, è stato stimato essere del 19%, con un aumento di 4 volte per i pazienti con più di 55 anni.
Per il DSM-IV il rischio di suicidio è più alto nei seguenti casi:
- se sono presenti manifestazioni psicotiche,
- se il paziente ha avuto precedenti tentativi di suicidio,
- se c’è una storia familiare di suicidio o uso di sostanze stupefacenti.
Il suicidio non è quasi mai una decisione improvvisa, ma il punto di arrivo di lunghi e tortuosi ragionamenti.
C’è una prima fase in cui la morte è percepita positiva perché fa finire una sofferenza pesante. Non esiste una vera e propria intenzionalità, ma esso è visto come possibile soluzione a situazioni insopportabili. Il suicidio viene visto come un sollievo, come una fantasia romantica in cui la persona prepara tutto con nuovi vestiti, quantità di barbiturici, saluti finali.
Nella seconda fase l’aspirante suicida si trova contrastato da varie ambivalenze fra vivere e morire, fra disperazione e speranza.
Nella terza fase si è già maturata l’idea di sopprimersi. Per fortuna non sempre riesce e l’istinto a vivere ha il sopravvento.
Tuttavia non è mai possibile prevedere se o quando un individuo affetto da depressione tenterà il suicidio.
Le motivazioni che spingono le persone a pensare al suicidio sono:
Motivi esistenziali
Motivi di disperazione
Motivi di vendetta
Motivi di ricongiungimento
Spesso il tentativo di suicidio rappresenta la volontà di fare un gesto provocatorio finalizzato a dimostrare l’inevitabilità e la gravità del disturbo a persone vicine e care, che non lo comprendono e tendono magari a sottovalutare lo stato di sofferenza.
L’errore più grande che si può fare infatti con un individuo affetto da questa patologia è proprio cercare di “tirarlo su” attribuendo certi sintomi, come il ritiro sociale o il senso di faticabilità, a una sorta di pigrizia, e insinuare che lo stato depressivo dipenda dalla sua volontà.
L’unico risultato che si ottiene in questi casi è infatti un ulteriore aumento del senso di colpa e la sensazione di non essere compresi dagli altri, con un senso di pena indescrivibile.
I soggetti ad alto rischio, come gli anziani che soffrono di malattie debilitanti, i giovani che hanno subito delle forti delusioni d’amore, gli adulti che si ritrovano con un pugno di mosche, sia a livello professionale che affettivo, possono essere anticipati nei loro disegni suicida e ricevere psicoterapie adeguate in grado di dare nuove speranze alle loro fatali intenzioni.
Depressione e suicidio
Uno dei principali sintomi della depressione sono i pensieri ricorrenti di morte, con la possibilità di pianificare o mettere in atto tentativi concreti di suicidio.
Lo stato umorale influenza lo stile di pensiero. Benché sia vero anche il contrario, cioè che lo stile di pensiero influenza l’umore, raramente chi è depresso, pur sforzandosi di pensare positivamente, risolverà la propria depressione. Molti parenti e amici di persone che soffrono di depressione si trovano a vivere in una condizione di disagio e impotenza a causa di questo fatto, cioè che non basta lo sforzo di pensare al futuro in un modo più roseo per stare bene, è necessario sentirsi bene per pensare positivamente. Ma come e cosa pensa una persona che soffre di depressione? I capisaldi del pensiero depressivo si possono riassumere in tre punti centrali: io non vado bene; gli altri non vanno bene; il mondo non va bene. Si tratta di una progressiva e profonda convinzione che Io, gli altri ed il mondo non potranno cambiare in meglio, o che non potranno cambiare affatto. Si tratta di una visione negativa di sé stessi che non prende neppure in considerazione la possibilità di cambiare, ad eccezione dei naturali viraggi umorali che fanno parte di questa patologia. Questo modo di pensare è strettamente legato ad un sentimento di capacità svanito, evaporato, che non permette alla persona di sentirsi promotrice di un significativo cambiamento. A causa di un appiattimento affettivo (attenuazione dell’affettività) oppure di un vero ottundimento affettivo (carente o assente percezione dell’affettività) la persona che soffre di depressione non sente più come prima il suo rapporto con gli altri e le cose della sua vita. In alcuni gravi casi può non sentirlo affatto. Per cui gli sembrerà che anche gli altri ed il resto del mondo non abbia alcun valore. Infatti le emozioni sono le qualità della nostra esperienza relazionale. In assenza di esse l’esperienza relazionale perde le sue qualità. Come se il caffè o il gelato improvvisamente non avessero più odore e sapore. Non avrebbe senso continuarli a bere e mangiare se non per la mera sopravvivenza. La persona depressa estende questa perdita di qualità a tutto. Benché i pensieri siano così negativi e le esperienze relazionali così povere il timore per il suicidio deve sorgere in quelle fasi in cui la persona depressa sta meglio. Infatti la fase depressiva è caratterizzata da una mancanza di forze e di energie diffusa e costante. Per cui anche lo stesso pensiero del suicidio o pensieri autolesionistici non producono quelle forti sensazioni che produrrebbero in una situazione normale, né vi è la forza e la volontà di realizzarli. La depressione, infatti, si accompagna all’abulia. Cioè una riduzione o assenza di volontà (“non ha voglia di far nulla”, “sta sempre a letto” e consimili, sono le frasi che spesso indicano l’abulia descritta dai familiari di persone depresse). Nel momento in cui la persona comincia a stare meglio si attraversa una fase delicata. Cioè quando le energie ricompaiono. Questo è il momento in cui la persona depressa è nuovamente disponibile ad un dialogo e ad essere aiutata. Talvolta i familiari e gli amici, sfiniti dalla fase depressiva e finalmente contenti di poter respirare anche loro, prendono questo momento di riattivazione come un segnale positivo (ne sta uscendo fuori, ma ancora sta male). Questo è il momento in cui la persona ha le forze di attuare eventuali pensieri suicidiari o autolesivi.
DOLORE E DEPRESSIONE
Il rischio di suicidio, per le persone con diagnosi di disturbo dell’umore, è stato stimato essere del 19%, con un aumento di 4 volte per i pazienti con più di 55 anni.
Per il DSM-IV il rischio di suicidio è più alto nei seguenti casi:
- se sono presenti manifestazioni psicotiche,
- se il paziente ha avuto precedenti tentativi di suicidio,
- se c’è una storia familiare di suicidio o uso di sostanze stupefacenti.
Il suicidio non è quasi mai una decisione improvvisa, ma il punto di arrivo di lunghi e tortuosi ragionamenti.
C’è una prima fase in cui la morte è percepita positiva perché fa finire una sofferenza pesante. Non esiste una vera e propria intenzionalità, ma esso è visto come possibile soluzione a situazioni insopportabili. Il suicidio viene visto come un sollievo, come una fantasia romantica in cui la persona prepara tutto con nuovi vestiti, quantità di barbiturici, saluti finali.
Nella seconda fase l’aspirante suicida si trova contrastato da varie ambivalenze fra vivere e morire, fra disperazione e speranza.
Nella terza fase si è già maturata l’idea di sopprimersi. Per fortuna non sempre riesce e l’istinto a vivere ha il sopravvento.
Tuttavia non è mai possibile prevedere se o quando un individuo affetto da depressione tenterà il suicidio.
Le motivazioni che spingono le persone a pensare al suicidio sono:
Motivi esistenziali
Motivi di disperazione
Motivi di vendetta
Motivi di ricongiungimento
Spesso il tentativo di suicidio rappresenta la volontà di fare un gesto provocatorio finalizzato a dimostrare l’inevitabilità e la gravità del disturbo a persone vicine e care, che non lo comprendono e tendono magari a sottovalutare lo stato di sofferenza.
L’errore più grande che si può fare infatti con un individuo affetto da questa patologia è proprio cercare di “tirarlo su” attribuendo certi sintomi, come il ritiro sociale o il senso di faticabilità, a una sorta di pigrizia, e insinuare che lo stato depressivo dipenda dalla sua volontà.
L’unico risultato che si ottiene in questi casi è infatti un ulteriore aumento del senso di colpa e la sensazione di non essere compresi dagli altri, con un senso di pena indescrivibile.
I soggetti ad alto rischio, come gli anziani che soffrono di malattie debilitanti, i giovani che hanno subito delle forti delusioni d’amore, gli adulti che si ritrovano con un pugno di mosche, sia a livello professionale che affettivo, possono essere anticipati nei loro disegni suicida e ricevere psicoterapie adeguate in grado di dare nuove speranze alle loro fatali intenzioni.
Depressione e suicidio
Uno dei principali sintomi della depressione sono i pensieri ricorrenti di morte, con la possibilità di pianificare o mettere in atto tentativi concreti di suicidio.
Lo stato umorale influenza lo stile di pensiero. Benché sia vero anche il contrario, cioè che lo stile di pensiero influenza l’umore, raramente chi è depresso, pur sforzandosi di pensare positivamente, risolverà la propria depressione. Molti parenti e amici di persone che soffrono di depressione si trovano a vivere in una condizione di disagio e impotenza a causa di questo fatto, cioè che non basta lo sforzo di pensare al futuro in un modo più roseo per stare bene, è necessario sentirsi bene per pensare positivamente. Ma come e cosa pensa una persona che soffre di depressione? I capisaldi del pensiero depressivo si possono riassumere in tre punti centrali: io non vado bene; gli altri non vanno bene; il mondo non va bene. Si tratta di una progressiva e profonda convinzione che Io, gli altri ed il mondo non potranno cambiare in meglio, o che non potranno cambiare affatto. Si tratta di una visione negativa di sé stessi che non prende neppure in considerazione la possibilità di cambiare, ad eccezione dei naturali viraggi umorali che fanno parte di questa patologia. Questo modo di pensare è strettamente legato ad un sentimento di capacità svanito, evaporato, che non permette alla persona di sentirsi promotrice di un significativo cambiamento. A causa di un appiattimento affettivo (attenuazione dell’affettività) oppure di un vero ottundimento affettivo (carente o assente percezione dell’affettività) la persona che soffre di depressione non sente più come prima il suo rapporto con gli altri e le cose della sua vita. In alcuni gravi casi può non sentirlo affatto. Per cui gli sembrerà che anche gli altri ed il resto del mondo non abbia alcun valore. Infatti le emozioni sono le qualità della nostra esperienza relazionale. In assenza di esse l’esperienza relazionale perde le sue qualità. Come se il caffè o il gelato improvvisamente non avessero più odore e sapore. Non avrebbe senso continuarli a bere e mangiare se non per la mera sopravvivenza. La persona depressa estende questa perdita di qualità a tutto. Benché i pensieri siano così negativi e le esperienze relazionali così povere il timore per il suicidio deve sorgere in quelle fasi in cui la persona depressa sta meglio. Infatti la fase depressiva è caratterizzata da una mancanza di forze e di energie diffusa e costante. Per cui anche lo stesso pensiero del suicidio o pensieri autolesionistici non producono quelle forti sensazioni che produrrebbero in una situazione normale, né vi è la forza e la volontà di realizzarli. La depressione, infatti, si accompagna all’abulia. Cioè una riduzione o assenza di volontà (“non ha voglia di far nulla”, “sta sempre a letto” e consimili, sono le frasi che spesso indicano l’abulia descritta dai familiari di persone depresse). Nel momento in cui la persona comincia a stare meglio si attraversa una fase delicata. Cioè quando le energie ricompaiono. Questo è il momento in cui la persona depressa è nuovamente disponibile ad un dialogo e ad essere aiutata. Talvolta i familiari e gli amici, sfiniti dalla fase depressiva e finalmente contenti di poter respirare anche loro, prendono questo momento di riattivazione come un segnale positivo (ne sta uscendo fuori, ma ancora sta male). Questo è il momento in cui la persona ha le forze di attuare eventuali pensieri suicidiari o autolesivi.