CONTROLLO E INFLUENZA
Nella comunicazione umana esistono due principali livelli: uno riguarda i contenuti che scambiamo, l’altro il rapporto che instauriamo con le persone. Ad esempio dire: “Ciao” (contenuto della comunicazione) può significare un’infinità di cose diverse a seconda di come lo diciamo (livello di rapporto). Il tipo di natura del rapporto che uno ha con un altro dipende non solo dall’ultimo contenuto scambiato (il “Ciao” dell’esempio) ma dal modo in cui lo abbiamo asserito e soprattutto anche da tutto ciò che è successo nella “storia” di quella relazione. La “storia” di una relazione è costituita dall’insieme degli accadimenti avvenuti nel tempo. Ad esempio una coppia nata da due mesi ha una “storia relazionale” molto più nutrita di quella riguardante due persone che si incontrano per la prima volta in discoteca e molto più scarna, invece, se paragonata a quella di una coppia che ha alle spalle dieci anni di matrimonio. La “storia relazionale” fa quindi da contesto, da sfondo, a ogni comunicazione che viene agita. Questa stessa comunicazione, un attimo dopo essere stata agita, va ad arricchire la “storia relazione”, sfumando e stemperandosi nello sfondo e lasciando il primo piano alle comunicazioni nascenti.
Il contenuto di questo articolo è rivolto alla conoscenza della natura del rapporto che viene immancabilmente ad essere impostato in ogni nostra comunicazione e più precisamente vorrei condividere l’osservazione che esistono due modi di fondo che la definiscono: controllare e influenzare. Secondo me, ogni nostra comunicazione si origina da uno di questi due. E c’è di più: quando comunichiamo o siamo nel modo controllare o siamo nel modo influenzare, in altri termini non esistono altre possibilità, non c’è un terzo modo che possiamo scegliere. Vediamo quindi cosa precisamente significano questi due concetti:
* Controllare significa determinare, con la propria volontà, il destino di qualcosa o qualcuno in maniera assoluta, senza cioè che l’altro possa interferire.
* Influenzare significa decidere di esercitare una influenza attiva su qualcosa o qualcuno, lasciando però alla cosa o alla persona la decisione ultima sul suo destino.
Io credo che, per quanto riguardi i rapporti umani, influenzare sia etico e controllare disetico. Nei famosi film di James Bond, egli si trova quasi sempre a dover affrontare degli avversari che bramano prendere potere e controllo sul mondo intero. In ogni favola, con buona approssimazione, c’è un cattivo di turno e questo cattivo corrisponde a un archetipo basato sul controllo degli altri: spesso è un mago o una maga, dotato di potenti strumenti, magici questa volta (tecnologici ed economici invece sono quelli del cattivo di 007) che usa per manovrare gli altri come marionette, come automi che soddisfino i suoi desideri, spesso egoistici e ambiziosi. Non vi è nulla di male nel fatto che qualcuno soddisfi i desideri di un altro ma, nel caso del cattivo delle favole, ciò avviene non sulla base della libera scelta dell’altro ma mediante costrizione, seduzione o inganno. Il cattivo infatti minaccia di utilizzare i poteri di cui è dotato se i suoi desideri non vengono soddisfatti e, quando questo succede, li usa davvero: la strega addormenta con un incantesimo la protagonista della “Bella Addormentata”, la matrigna di Biancaneve, per soddisfare la sua vanità ordina al guardiacaccia di ucciderla nel bosco. Altre volte il cattivo usa il potere di travestire i suoi intenti e di sedurre promettendo vantaggi, potere e ricchezze: il gatto e la volpe ingannano e seducono Pinocchio, Morgana ruba le arti magiche a Merlino facendolo innamorare.
Lo schema di fondo è il seguente: il cattivo ha dei desideri egoistici e li vuole realizzare a tutti i costi. Per perseguire ciò seduce promettendo vantaggi, inganna e minaccia. Se qualcuno si frappone egli cerca di manipolarlo e se non ci riesce, senza esitazioni, lo toglie di mezzo. Gli altri non hanno valore alcuno se non come strumenti per la realizzazione dei suoi scopi. Il tipo di natura del rapporto che egli imposta con le persone è basato sul controllo: egli è una specie di cervello potente che si serve, usa, gli altri per perseguire i suoi progetti. Nessuno può raggiungerlo né contrastarlo: egli è barricato dietro la sua forza. Ogni sistema dittatoriale funziona il questo modo e la storia è piena di esempi di questo genere.
Se invece prendiamo in considerazione i personaggi buoni delle favole e dei film vediamo che oltre a qualità come coraggio, lealtà, generosità, onore essi non controllano gli altri ma soltanto li influenzano: il saggio o la fata buona esprimono le loro idee e offrono i loro consigli, ma non esercitano mai una pressione per far passare le loro volontà. Essi si mettono al servizio del protagonista per insegnare e sostenere, mai per manipolare. I protagonisti delle favole spesso lottano per contrastare l’ingiustizia che si verifica quando i cattivi hanno preso il controllo ma quando la situazione ritorna all’equilibrio non ne approfittano per controllare a loro volta, ma solo influenzano: Cenerentola non manipola il principe per essere scelta al ballo: egli la sceglie nel pieno uso della sua volontà, James Bond non obbliga le donne che ama a corrisponderlo né vuole comprarle con gioielli o favori: si propone semplicemente e con garbo e sono loro a sceglierlo.
Voglio fare altri esempi utili a spiegare la diffrenza concettuale esistente tra controllare e influenzare: quando io guido una macchina, chi ha il controllo di essa? Io o le persone esterne alla macchina, il vigile, i conducenti di altre macchine? Se Giovanni guida una macchina, chi ne ha il controllo? Appare del tutto evidente che controlla la macchina soltanto chi la guida, gli altri possono semmai cercare di influenzare. Per influenzare il comportamento di un altro conducente potrei suonare il clacson, potrei lampeggiare oppure agitare le braccia facendo segnali, potrei superare l’altro e urlargli qualcosa con il finestrino aperto ma, in ogni caso, non posso determinare il comportamento dell’altro. Così quando io mi trovo ad essere al comando di una vettura, tutti gli altri possono effettuare mille comunicazioni, ma di fatto soltanto io posso decidere se andrò a sinistra o destra, se accelererò o diminuirò la velocità. In questo caso quindi possiamo dire che chi guida una macchina ha il controllo della stessa.
Immaginate invece di essere a piedi ai margini di una strada a fare l’autostop. Ad esempio potreste svogliatamente assumere la classica posizione dell’autostoppista, magari guardando a terra, oppure potreste scrivere un cartello che dichiara il posto dove siete diretti, oppure potreste associarvi ad una autostoppista molto carina. Credo che queste tre eventualità abbiano diverse probabilità di successo e che la terza, nella quale c’è di mezzo la ragazza carina, sia quella migliore, ma tutte e tre sono in realtà accomunate da una caratteristica: non è in voi la possibilità di determinare il fatto che una certa macchina si fermi. Appare quindi evidente che tutto ciò che potete fare è esercitare un influsso che si spera abbia un buon effetto, ma nulla di più. In questo caso possiamo dire che chi fa l’autostop ha un’influenza sui conducenti che passano di lì. Se per caso voi cercaste di assumere controllo di questa situazione potreste munirvi di una pistola e una sega. Con la sega potreste tagliare un albero in modo da bloccare la strada (in questo modo la machina altrui deve fermarsi) e poi, alla prima macchina che si ferma potreste puntare la pistola alla tempia del conducente e dirgli: “Adesso mi porti a Roma, altrimenti sparo!” In realtà non avreste il vero controllo della situazione, come vedremo più in là in questo articolo, ma avreste assunto il modo “controllo” di comunicare.
Esiste un altro esempio incredibilmente esplicativo della differenza tra i due concetti: quando vi si ottura lo scarico del lavandino cercate di esercitare un controllo o un’influenza su questa situazione? Vi avvicinate al tubo ostruito e gli dite in modo dolce ma fermo: “Tubo, senti, avrei tanto bisogno di far scorrere via l’acqua con la quale mi sono fatto la barba, per cui ti prego sturati. È un bene anche per te essere libero e utile” (modalità “influenzare”)? Non credo proprio che facciate così, credo che prendiate la ventosa e esercitiate una discreta forza per “sbloccare” il materiale che intasa e nel caso ciò non vi riesca, passiate a sostanze carine tipo “Idraulico liquido” ecc. (modalità “controllare”).
Forse potete già iniziare a capire la situazione assurda e paradossale che si instaura quando un paziente, o peggio ancora i genitori di un paziente, chiedono allo psicoterapeuta qualcosa tipo: “Dottore per favore faccia qualcosa per sbloccare nostro figlio...”, “Non ha una tecnica per portare via questo disturbo?”, “Perché non mi fa l’ipnosi e mi leva i blocchi?”, “E cosa dovrei fare per far reagire mio figlio (mia moglie, marito, amante, ecc.)?”, “Non so cosa fare più per cambiare mio marito, le ho provate tutte ma non è servito a niente, ha un carattere così terribile!”.
Arriviamo così a una ulteriore e fondamentale suddivisione concettuale, ben visibile in tutti gli esempi finora utilizzati: è possibile e lecito avere controllo su cose e oggetti, come la macchina e il tubo di scarico, mentre con gli esseri umani è bene esercitare solo l’influenza. Cosa succede allora quando cerchiamo di avere controllo su di un essere umano? Succede che lo trattiamo come se esso fosse un oggetto. Provate infatti a ricordarvi di qualcuno che ha cercato di farvi reagire secondo la sua volontà, senza preoccuparsi se voi volevate reagire così, imponendovi quindi quel comportamento; quale è stata la vostra reazione? Vi siete sottomessi e la avete agita, ma senza partecipazione autentica, oppure vi siete ribellati e avete iniziato a contrapporvi al volere dell’altro. In entrambi i casi non avete avuto la possibilità di portare l’attenzione su ciò che voi volevate.
In realtà NON È POSSIBILE AVERE CONTROLLO DI NESSUN’ALTRA PERSONA TRANNE SE STESSI. È possibile invece entrare nel modo controllo di comunicare. Entrare nel modo controllo di comunicare significa non avere più rispetto per l’essere dell’altro, in quanto, comportandosi con lui come se fosse un oggetto, lo si tratta come se in lui non esistesse la qualità più alta appartenente agli esseri umani, il libero arbitrio, che è ciò che ci contraddistingue dal regno minerale, vegetale e da tutti gli altri animali. Tra le varie squalificazioni che possiamo infliggere non ne esiste un’altra peggiore. Ma non è possibile controllare nessun altro. Voglio fare ancora un esempio a sostegno di questa ipotesi. Immaginate di essere in una stanza isolata con vostro figlio (o una persona che amate veramente). Siete in contatto visivo con un rapitore cattivissimo mediante un vetro antiproiettile e potete vicendevolmente comunicare con dei microfoni. Voi avete una pistola carica nella mano e il rapitore vi dice: “Uccidi tuo figlio altrimenti immetto un gas al cianuro che ucciderà tutti e due”. Cosa fareste di fronte al suo tentativo di controllo? Se anche solo una persona su dieci decidesse di non sparare al proprio figlio, neanche di fronte alla possibilità di perdere la propria vita, significa che non esiste la possibilità che un essere umano ne controlli un altro. Potremmo dire che il grado di influenza sarebbe altissimo, che il rapinatore è nel modo controllo di comunicare, ma non potremmo assolutamente affermare che ha il controllo delle scelte, dei comportamenti e del destino dell’altro. Da ciò consegue che quando qualcuno cerca di esercitare un controllo su qualcun altro e gli riesce, in realtà questo accade perché l’altro glielo ha permesso.
Conoscere la differenza tra controllare e influenzare non è un puro esercizio intellettuale; i risvolti pratici sono di incommensurabile importanza. Ciò avviene perché, di fatto, il tentativo di controllo è una delle cause più importanti di inefficacia comunicazionale. In altri termini cercare di controllare qualcuno rappresenta il modo più sicuro di rovinare, nel tempo, una relazione interpersonale.
Esistono inoltre maniere aperte di esercitare il modo controllo e maniere coperte, molto sottili e manipolative. Non è affatto semplice descrivere i modi nascosti e sottili delle comunicazioni del tipo controllo. Spesso coloro che usano tali modi si comportano formalmente in modo ineccepibile, ma i messaggi che vengono realmente trasmessi, ad esempio mediante la comunicazione non verbale, hanno l’intenzione di esercitare un controllo. Tali persone tendono a non ammettere la loro intenzione di manipolare e controllare l’altro ed eventualmente la giustificano in svariati modi: “Lo faccio per te”, “E cos’altro dovrei fare, secondo te?”, “È l’unica cosa da fare con Roberto, altrimenti non capisce”. Spesso non sono neanche consapevoli della loro intenzione di controllare, ma di fondo gli altri sentono che in qualche modo vengono sottoposti ad una pressione, obbligati a una scelta preconfezionata, non liberi di reagire se non nella direzione indicata.
Il modo controllo, sia aperto che coperto, crea una barriera fortissima alla comunicazione efficace. A ben pensare tutto ciò risulta evidente: se qualcuno ci tratta come degli oggetti, privandoci della possibilità di essere liberi di scegliere autonomamente, ciò tenderà a suscitare in noi una reazione istintiva di rifiuto più che giustificata. Tale reazione di rifiuto avverrà qualunque sia il contenuto comunicato dall’altro. Può quindi verificarsi una situazione paradossale che, ad esempio, ho visto essere molto frequente nei problemi tra genitori e figli: i genitori consigliano qualcosa di giusto al figlio, ma lo fanno dal modo controllo, magari nella maniera coperta. Il figlio si ribella, ma, non riconoscendo l’origine del messaggio negativo, cioè il modo controllo nascosto, si ribella al contenuto “proposto” dai genitori. A questo punto i genitori possono dimostrarsi indignati per il rifiuto della loro “proposta” e usare tale rifiuto come una prova dell’irrazionalità del figlio. Essendo il figlio irrazionale, fatto incontestabile e vero, la sua libera volontà viene ad essere invalidata ed essi hanno ora il “diritto” di intervenire al di là di essa controllandolo. I genitori quindi assumono sempre più tale modalità di comunicazione e il figlio si chiude in un rifiuto via via maggiore. Ne risulta un circolo vizioso che può protrarsi fino a livelli estremi.
Concludendo vorrei suggerire un ultimo concetto: influenzare invece di controllare credo sia un modo molto semplice, concreto e quotidiano di esprimere amore per chi ci sta vicino, e i frutti di tale amore, se comunichiamo in questo modo, non tardano ad arrivare.
Nella comunicazione umana esistono due principali livelli: uno riguarda i contenuti che scambiamo, l’altro il rapporto che instauriamo con le persone. Ad esempio dire: “Ciao” (contenuto della comunicazione) può significare un’infinità di cose diverse a seconda di come lo diciamo (livello di rapporto). Il tipo di natura del rapporto che uno ha con un altro dipende non solo dall’ultimo contenuto scambiato (il “Ciao” dell’esempio) ma dal modo in cui lo abbiamo asserito e soprattutto anche da tutto ciò che è successo nella “storia” di quella relazione. La “storia” di una relazione è costituita dall’insieme degli accadimenti avvenuti nel tempo. Ad esempio una coppia nata da due mesi ha una “storia relazionale” molto più nutrita di quella riguardante due persone che si incontrano per la prima volta in discoteca e molto più scarna, invece, se paragonata a quella di una coppia che ha alle spalle dieci anni di matrimonio. La “storia relazionale” fa quindi da contesto, da sfondo, a ogni comunicazione che viene agita. Questa stessa comunicazione, un attimo dopo essere stata agita, va ad arricchire la “storia relazione”, sfumando e stemperandosi nello sfondo e lasciando il primo piano alle comunicazioni nascenti.
Il contenuto di questo articolo è rivolto alla conoscenza della natura del rapporto che viene immancabilmente ad essere impostato in ogni nostra comunicazione e più precisamente vorrei condividere l’osservazione che esistono due modi di fondo che la definiscono: controllare e influenzare. Secondo me, ogni nostra comunicazione si origina da uno di questi due. E c’è di più: quando comunichiamo o siamo nel modo controllare o siamo nel modo influenzare, in altri termini non esistono altre possibilità, non c’è un terzo modo che possiamo scegliere. Vediamo quindi cosa precisamente significano questi due concetti:
* Controllare significa determinare, con la propria volontà, il destino di qualcosa o qualcuno in maniera assoluta, senza cioè che l’altro possa interferire.
* Influenzare significa decidere di esercitare una influenza attiva su qualcosa o qualcuno, lasciando però alla cosa o alla persona la decisione ultima sul suo destino.
Io credo che, per quanto riguardi i rapporti umani, influenzare sia etico e controllare disetico. Nei famosi film di James Bond, egli si trova quasi sempre a dover affrontare degli avversari che bramano prendere potere e controllo sul mondo intero. In ogni favola, con buona approssimazione, c’è un cattivo di turno e questo cattivo corrisponde a un archetipo basato sul controllo degli altri: spesso è un mago o una maga, dotato di potenti strumenti, magici questa volta (tecnologici ed economici invece sono quelli del cattivo di 007) che usa per manovrare gli altri come marionette, come automi che soddisfino i suoi desideri, spesso egoistici e ambiziosi. Non vi è nulla di male nel fatto che qualcuno soddisfi i desideri di un altro ma, nel caso del cattivo delle favole, ciò avviene non sulla base della libera scelta dell’altro ma mediante costrizione, seduzione o inganno. Il cattivo infatti minaccia di utilizzare i poteri di cui è dotato se i suoi desideri non vengono soddisfatti e, quando questo succede, li usa davvero: la strega addormenta con un incantesimo la protagonista della “Bella Addormentata”, la matrigna di Biancaneve, per soddisfare la sua vanità ordina al guardiacaccia di ucciderla nel bosco. Altre volte il cattivo usa il potere di travestire i suoi intenti e di sedurre promettendo vantaggi, potere e ricchezze: il gatto e la volpe ingannano e seducono Pinocchio, Morgana ruba le arti magiche a Merlino facendolo innamorare.
Lo schema di fondo è il seguente: il cattivo ha dei desideri egoistici e li vuole realizzare a tutti i costi. Per perseguire ciò seduce promettendo vantaggi, inganna e minaccia. Se qualcuno si frappone egli cerca di manipolarlo e se non ci riesce, senza esitazioni, lo toglie di mezzo. Gli altri non hanno valore alcuno se non come strumenti per la realizzazione dei suoi scopi. Il tipo di natura del rapporto che egli imposta con le persone è basato sul controllo: egli è una specie di cervello potente che si serve, usa, gli altri per perseguire i suoi progetti. Nessuno può raggiungerlo né contrastarlo: egli è barricato dietro la sua forza. Ogni sistema dittatoriale funziona il questo modo e la storia è piena di esempi di questo genere.
Se invece prendiamo in considerazione i personaggi buoni delle favole e dei film vediamo che oltre a qualità come coraggio, lealtà, generosità, onore essi non controllano gli altri ma soltanto li influenzano: il saggio o la fata buona esprimono le loro idee e offrono i loro consigli, ma non esercitano mai una pressione per far passare le loro volontà. Essi si mettono al servizio del protagonista per insegnare e sostenere, mai per manipolare. I protagonisti delle favole spesso lottano per contrastare l’ingiustizia che si verifica quando i cattivi hanno preso il controllo ma quando la situazione ritorna all’equilibrio non ne approfittano per controllare a loro volta, ma solo influenzano: Cenerentola non manipola il principe per essere scelta al ballo: egli la sceglie nel pieno uso della sua volontà, James Bond non obbliga le donne che ama a corrisponderlo né vuole comprarle con gioielli o favori: si propone semplicemente e con garbo e sono loro a sceglierlo.
Voglio fare altri esempi utili a spiegare la diffrenza concettuale esistente tra controllare e influenzare: quando io guido una macchina, chi ha il controllo di essa? Io o le persone esterne alla macchina, il vigile, i conducenti di altre macchine? Se Giovanni guida una macchina, chi ne ha il controllo? Appare del tutto evidente che controlla la macchina soltanto chi la guida, gli altri possono semmai cercare di influenzare. Per influenzare il comportamento di un altro conducente potrei suonare il clacson, potrei lampeggiare oppure agitare le braccia facendo segnali, potrei superare l’altro e urlargli qualcosa con il finestrino aperto ma, in ogni caso, non posso determinare il comportamento dell’altro. Così quando io mi trovo ad essere al comando di una vettura, tutti gli altri possono effettuare mille comunicazioni, ma di fatto soltanto io posso decidere se andrò a sinistra o destra, se accelererò o diminuirò la velocità. In questo caso quindi possiamo dire che chi guida una macchina ha il controllo della stessa.
Immaginate invece di essere a piedi ai margini di una strada a fare l’autostop. Ad esempio potreste svogliatamente assumere la classica posizione dell’autostoppista, magari guardando a terra, oppure potreste scrivere un cartello che dichiara il posto dove siete diretti, oppure potreste associarvi ad una autostoppista molto carina. Credo che queste tre eventualità abbiano diverse probabilità di successo e che la terza, nella quale c’è di mezzo la ragazza carina, sia quella migliore, ma tutte e tre sono in realtà accomunate da una caratteristica: non è in voi la possibilità di determinare il fatto che una certa macchina si fermi. Appare quindi evidente che tutto ciò che potete fare è esercitare un influsso che si spera abbia un buon effetto, ma nulla di più. In questo caso possiamo dire che chi fa l’autostop ha un’influenza sui conducenti che passano di lì. Se per caso voi cercaste di assumere controllo di questa situazione potreste munirvi di una pistola e una sega. Con la sega potreste tagliare un albero in modo da bloccare la strada (in questo modo la machina altrui deve fermarsi) e poi, alla prima macchina che si ferma potreste puntare la pistola alla tempia del conducente e dirgli: “Adesso mi porti a Roma, altrimenti sparo!” In realtà non avreste il vero controllo della situazione, come vedremo più in là in questo articolo, ma avreste assunto il modo “controllo” di comunicare.
Esiste un altro esempio incredibilmente esplicativo della differenza tra i due concetti: quando vi si ottura lo scarico del lavandino cercate di esercitare un controllo o un’influenza su questa situazione? Vi avvicinate al tubo ostruito e gli dite in modo dolce ma fermo: “Tubo, senti, avrei tanto bisogno di far scorrere via l’acqua con la quale mi sono fatto la barba, per cui ti prego sturati. È un bene anche per te essere libero e utile” (modalità “influenzare”)? Non credo proprio che facciate così, credo che prendiate la ventosa e esercitiate una discreta forza per “sbloccare” il materiale che intasa e nel caso ciò non vi riesca, passiate a sostanze carine tipo “Idraulico liquido” ecc. (modalità “controllare”).
Forse potete già iniziare a capire la situazione assurda e paradossale che si instaura quando un paziente, o peggio ancora i genitori di un paziente, chiedono allo psicoterapeuta qualcosa tipo: “Dottore per favore faccia qualcosa per sbloccare nostro figlio...”, “Non ha una tecnica per portare via questo disturbo?”, “Perché non mi fa l’ipnosi e mi leva i blocchi?”, “E cosa dovrei fare per far reagire mio figlio (mia moglie, marito, amante, ecc.)?”, “Non so cosa fare più per cambiare mio marito, le ho provate tutte ma non è servito a niente, ha un carattere così terribile!”.
Arriviamo così a una ulteriore e fondamentale suddivisione concettuale, ben visibile in tutti gli esempi finora utilizzati: è possibile e lecito avere controllo su cose e oggetti, come la macchina e il tubo di scarico, mentre con gli esseri umani è bene esercitare solo l’influenza. Cosa succede allora quando cerchiamo di avere controllo su di un essere umano? Succede che lo trattiamo come se esso fosse un oggetto. Provate infatti a ricordarvi di qualcuno che ha cercato di farvi reagire secondo la sua volontà, senza preoccuparsi se voi volevate reagire così, imponendovi quindi quel comportamento; quale è stata la vostra reazione? Vi siete sottomessi e la avete agita, ma senza partecipazione autentica, oppure vi siete ribellati e avete iniziato a contrapporvi al volere dell’altro. In entrambi i casi non avete avuto la possibilità di portare l’attenzione su ciò che voi volevate.
In realtà NON È POSSIBILE AVERE CONTROLLO DI NESSUN’ALTRA PERSONA TRANNE SE STESSI. È possibile invece entrare nel modo controllo di comunicare. Entrare nel modo controllo di comunicare significa non avere più rispetto per l’essere dell’altro, in quanto, comportandosi con lui come se fosse un oggetto, lo si tratta come se in lui non esistesse la qualità più alta appartenente agli esseri umani, il libero arbitrio, che è ciò che ci contraddistingue dal regno minerale, vegetale e da tutti gli altri animali. Tra le varie squalificazioni che possiamo infliggere non ne esiste un’altra peggiore. Ma non è possibile controllare nessun altro. Voglio fare ancora un esempio a sostegno di questa ipotesi. Immaginate di essere in una stanza isolata con vostro figlio (o una persona che amate veramente). Siete in contatto visivo con un rapitore cattivissimo mediante un vetro antiproiettile e potete vicendevolmente comunicare con dei microfoni. Voi avete una pistola carica nella mano e il rapitore vi dice: “Uccidi tuo figlio altrimenti immetto un gas al cianuro che ucciderà tutti e due”. Cosa fareste di fronte al suo tentativo di controllo? Se anche solo una persona su dieci decidesse di non sparare al proprio figlio, neanche di fronte alla possibilità di perdere la propria vita, significa che non esiste la possibilità che un essere umano ne controlli un altro. Potremmo dire che il grado di influenza sarebbe altissimo, che il rapinatore è nel modo controllo di comunicare, ma non potremmo assolutamente affermare che ha il controllo delle scelte, dei comportamenti e del destino dell’altro. Da ciò consegue che quando qualcuno cerca di esercitare un controllo su qualcun altro e gli riesce, in realtà questo accade perché l’altro glielo ha permesso.
Conoscere la differenza tra controllare e influenzare non è un puro esercizio intellettuale; i risvolti pratici sono di incommensurabile importanza. Ciò avviene perché, di fatto, il tentativo di controllo è una delle cause più importanti di inefficacia comunicazionale. In altri termini cercare di controllare qualcuno rappresenta il modo più sicuro di rovinare, nel tempo, una relazione interpersonale.
Esistono inoltre maniere aperte di esercitare il modo controllo e maniere coperte, molto sottili e manipolative. Non è affatto semplice descrivere i modi nascosti e sottili delle comunicazioni del tipo controllo. Spesso coloro che usano tali modi si comportano formalmente in modo ineccepibile, ma i messaggi che vengono realmente trasmessi, ad esempio mediante la comunicazione non verbale, hanno l’intenzione di esercitare un controllo. Tali persone tendono a non ammettere la loro intenzione di manipolare e controllare l’altro ed eventualmente la giustificano in svariati modi: “Lo faccio per te”, “E cos’altro dovrei fare, secondo te?”, “È l’unica cosa da fare con Roberto, altrimenti non capisce”. Spesso non sono neanche consapevoli della loro intenzione di controllare, ma di fondo gli altri sentono che in qualche modo vengono sottoposti ad una pressione, obbligati a una scelta preconfezionata, non liberi di reagire se non nella direzione indicata.
Il modo controllo, sia aperto che coperto, crea una barriera fortissima alla comunicazione efficace. A ben pensare tutto ciò risulta evidente: se qualcuno ci tratta come degli oggetti, privandoci della possibilità di essere liberi di scegliere autonomamente, ciò tenderà a suscitare in noi una reazione istintiva di rifiuto più che giustificata. Tale reazione di rifiuto avverrà qualunque sia il contenuto comunicato dall’altro. Può quindi verificarsi una situazione paradossale che, ad esempio, ho visto essere molto frequente nei problemi tra genitori e figli: i genitori consigliano qualcosa di giusto al figlio, ma lo fanno dal modo controllo, magari nella maniera coperta. Il figlio si ribella, ma, non riconoscendo l’origine del messaggio negativo, cioè il modo controllo nascosto, si ribella al contenuto “proposto” dai genitori. A questo punto i genitori possono dimostrarsi indignati per il rifiuto della loro “proposta” e usare tale rifiuto come una prova dell’irrazionalità del figlio. Essendo il figlio irrazionale, fatto incontestabile e vero, la sua libera volontà viene ad essere invalidata ed essi hanno ora il “diritto” di intervenire al di là di essa controllandolo. I genitori quindi assumono sempre più tale modalità di comunicazione e il figlio si chiude in un rifiuto via via maggiore. Ne risulta un circolo vizioso che può protrarsi fino a livelli estremi.
Concludendo vorrei suggerire un ultimo concetto: influenzare invece di controllare credo sia un modo molto semplice, concreto e quotidiano di esprimere amore per chi ci sta vicino, e i frutti di tale amore, se comunichiamo in questo modo, non tardano ad arrivare.