"La psicologia della Gestalt" intervista a Barrie Simmons*
1. Professore come nasce la teoria della Gestalt? Qual'è la teoria a cui si ispira, e chi ne è il caposcuola?
La psicoterapia della Gestalt è un approccio esistenziale, nasce in un certo senso dalla psicoanalisi freudiana e dall'incontro tra questa e altre correnti di pensiero. Nasce, in un certo senso, da un seminario di ricerca continuativa, che faceva Wilhelm Reich negli anni Venti-Trenta a Berlino, presso l'Istituto di Psicoanalisi. Era una ricerca straordinaria, ma ripetuta, sui casi falliti della psicoanalisi. Continuavano a guardare, nel corso di questo esame, il collega Friedrich Perce, che cominciava a revisionare la teoria psicoanalitica di Freud. Fritz Perce - moriva nel Settanta - ha creato, ideato, inventato questo approccio. Perce ha subito molte altre influenze, oltre la psicoanalisi, che è la sua matrice fondamentale. Era il nipote di uno dei più grandi psicologi della Gestalt - psicologia della percezione -, scuola che era fiorita in Germania soprattutto, ma anche in tutto il mondo, negli anni Venti e Trenta, e che continua a esistere. E' stato molto affascinato dal pensiero esistenzialista. In quegli anni a Berlino insegnavano Martin Buber - filosofo ebreo, ma che ha avuto una grossa influenza sul pensiero cristiano contemporaneo - e Paul Tillich, che è stato un grande teologo protestante di carattere esistenzialista derivato da Kierkegaard. Perce è stato influenzato da questo, ma anche dallo Zen.
2. Può mostrarci quali sono i concetti principali di questo pensiero?
La psicoterapia della Gestalt fondamentalmente è una psicoterapia. Non ha una psicologia sviluppata, non deriva da presupposti rigurdo all'eziologia, cioè lo sviluppo dell'individuo come acquisto di un comportamento nevrotico. Parte, invece, da una filosofia, poi applica delle tecniche per eseguire questa filosofia. Cerco di essere più chiaro. Sotto ogni impostazione psicoterapeutica ci sono valori e principi filsofici. Il vecchio Freud fondamentalmente pensava nei termini della scienza dell'Ottocento, della scienza del tardo Ottocento - dello Scientismo e del Positivismo deterministico. Era una visione biologicamente darwiniana, peraltro più chiusa al movimento e al soggetto, alla soggettività (tutto molto modificato nella rivoluzione post-einsteiniana). La Gestalt parte, diciamo, da una visione molto più esistenziale; parte dalla considerazione che siamo qui ed ora, che il passato esiste unicamente come traccia, rudere, registro archivio, ricordo, che non c'è. Esiste oggi solo quello che è presente, che il futuro non c'è, esiste soltanto come anticipazione, paura, speranza, pianificazione, progettazione. Fondamentalmente, dunque, non possiamo continuamente attribuire, per esempio, i nostri guai al passato e porre le nostre speranze, la nostra positività nel futuro. La Gestalt cerca di sensibilizzare l'individuo al suo essere qui ed ora, cerca di aiutarlo a stare qui ed ora e ad assumersi la responsabilità della sua esistenza, perché è inutile dire: "Sono così, faccio così, perché quando avevo tre anni mi è successo questo". Se guardi adesso, non hai più tre anni, è solo un ricordo. Se tu ti rendi conto che stai qui, adesso, e che non sei ancora là, dentro quella situazione, cambia tutta la prospettiva.
3. Qual è la rielaborazione che la Gestalt fa delle radici, della storia? Qual è la relazione con il passato?
La psicoanalisi lavora archeologicamente. Freud stesso diceva che la psicoanalisi era molto più uno strumento di ricerca che un metodo di guarigione. Nella psicoanalisi si scava nel passato cercando di ricordare, di riprendere, pur di guarire. Nella Gestalt, la nostra esperienza è che quando una persona, nel qui ed ora, scelga di cambiare e modifica il suo comportamento, allora vengono un mare di ricordi, che però non sono una corazza. I ricordi sono un epifenomeno, non sono l'elemento causale, l'elemento attivo. L'attivo è la volontà dell'uomo e la decisione.
4. La Gestalt fa molta leva sul concetto di "responsabilità", che lei ha già citato. Cosa significa in questo contesto?
La responsabilità non vuol dire imputazione o colpevolizzazione: "Tu sei responsabile", "è colpa tua". No. E' chiaro che l'individuo è stato plasmato da molteplici fattori. C'è una costituzione genetica, c'è un contesto in cui uno nasce - luogo, epoca, ceto sociale. Il bambino è sotto controllo dei genitori e di altri grandi. E' impossibile dire: "tu sei l'autore di tutto quello che sei". D'altra parte, nessuno può assumersi la responsabilità per me, effettuare le decisioni vitali, indirizzare la mia esistenza. Detto in termini più semplici: qualcuno deve portare fuori la spazzatura. La spazzatura mia la porto io. La responsabilità, dunque, non è colpevolizzazione. Tu sei l'autorità di tutto. Ma tu sei oggi il tuo problema. Non sono il problema di qualcun altro. Responsabilità significa modificare una situazione. Gli altri hanno la loro vita da vivere. E poi chi è pronto ad assumersi la responsabilità per me? Forse è meglio, alla fine, che io mi responsabilizzi per me stesso.
5. Qual è la visione generale dell'uomo che sottende alla psicoterapia della Gestalt? C'è qualche incompatibilità con qualche orientamento filosofico, religioso, umano?
Il bisogno di base della psicologia-psicoterapia della Gestalt è una visione esistenziale. Cerchiamo perciò di guardare alla realtà dell'uomo buttato nella sua vita. Per esempio, uno dei grossi fattori è che l'essere umano cerca di arricchirsi - non parlo solo materialmente - approfondirsi, elevarsi evolversi arricchhirsi culturalmente e umanamente, diventare qualcosa con cui è più felice, integrato, contento e, nel mezzo di questo sforzo di migliorarsi, muore. Questa è la situazione reale. Noi siamo sotto questa spada di Damocle. La morte può succedere in qualsiasi momento, non è prevedibile e l'unico breve quesito per morire è l'essere nato. Cio può accadere ad un bimbo e può accadere ad un vecchio. Noi siamo sempre sotto questa minaccia. C'è una non garanzia, un'incertezza, che caratterizza fodamentalmente la vita dell'essere umano. Gli altri organismi non capiscono questo come lo capisce l'uomo. L'uomo è chi sa che è davanti a questo pericolo, che la sua vita molto probabilmente comporta, se è fortunato, invecchiamento e malattia, ma comunque morte. Questo condiziona fondamentalmente la nostra situazione.
6. Friedrich Perls diceva una cosa molto bella quando affermava che lo scopo della terapia della Gestalt era quello di trasformare individui di plastica in persone reali. Cosa vuol dire questo?
Vuol dire forse che noi viviamo in un'epoca dove, più che mai, nella storia umana, c'è l'imposizione del modello. Oggi tutti hanno il dovere di essere belli, creativi, ottimistici, socievoli, positivi. E' anche manipolabile per gli scopi, senz'altro sacrosanti, della società. In questo momento storico, quando il modello, le regole, il ruolo sono imposti così pesantemente, ci dovrebbe essere positività. Invece non c'è mai stata una epidemia di malattie psicosomatiche, di malattie mentali, di tossicodipendenza. E'un'ondata di reazione contro l'imposizione della positività, per cui in tutto il mondo c'è violenza su ogni quadrato della città e c'è abuso in ogni normale rapporto umano, tra uomo e donna, tra adulto e bambino, tra società e stato. Allora Fritz Perce percepiva noi tutti come alienati da noi stessi. C'è un pensatore psicoanalitico, Winnicot, che in qualche modo vedeva singolarmente, e parla del "falso Sé". L'individuo da bambino è obbligato a scegliere tra essere adeguato alla sua natura, leale ai suoi bisogni e desideri, o adattarsi, adeguarsi al modello - io ho detto prima regole, ruoli -, cioè fa quello che la famiglia richiede come prezzo di appartenenza e come qui pro quo per il sostegno di cui il bambino ha assoluto bisogno. Il bambino impara dunque a scegliere tra se stesso e se stesso, tra la sua sopravvivenza come soggetto, come essere che si sente e si esprime e la sua sopravvienza come organismo, come unità sociale, come persona che ha altri bisogni. Ha bisogno di essere amato, ha bisogno di attenzione. Allora noi cresciamo, svolgendo dei ruoli, vivendo solo parzialmente, rimuovendo o scartando grosse fette di noi stessi e così diventiamo quello che Perce in una parola chiamava "plastica", invece di essere carne e ossa.
7. Professore, proviamo a entrare nel "setting". Come si svolge la terapia? Può descriverci in qualche modo le tecniche, la loro relazione con il trattamento terapeutico della Gestalt?
La Gestalt punta a mettere l'individuo in contatto diretto con la situazione, il tema che si sta esplorando. Alla fine, implicitamente, cerca di mettere l'individuo in contatto diretto con se stesso. Anzicché stare esterno a me e considerarmi al di sopra di me, riflettendo, io mi sento, agisco con la mia coscienza diretta. Per esempio, se lavoriamo su un sogno, sperimetiamo il sogno. C'è una specie di psicodramma. Io agisco, recito un ruolo, mi identifico con gli elementi, le forze in campo e tramite questa identificazione, so da dentro mettermi nei panni di cosa significa non partire da un'astrazione, ma partire da un'esperienza. Questa esperienza diretta fa nascere una consapevolezza. Una cosa è chi spiega una situazione, un'altra è che tu ci sei stato, hai visto, hai vissuto, sei testimone diretto. Io non ho bisogno che qualcuno mi spiega che sono qui adesso, cosa sto provando e cosa sto facendo, perché ci sto. Poi c'è la presa di coscienza, la consapevolezza per il fatto che sono dentro, che non è un rapporto a distanza tra me e me, o me e il mio sogno, o me e il mio ricordo, me e mio padre. Divento mio padre. Io dialogo con diverse parti di me. In questo modo sostituisco la proiezione, cioè il mandar via con l'dentificazione. Come diceva Freud, dunque, dove c'era Es ci sarà Io, dove c'era "quello là" ci sarà, invece, la persona. Non è più che una mia ombra, una mia parte, un mio difetto è alieno a me, perché io lo assumo, io riprendo possesso, so che fa parte di me, e - ho detto che dall'esperienza diretta sorge la consapevolezza; dalla consapevolezza sorge la funzione di responsabilità, perché so cosa faccio, so che io la faccio, non che mi accade o che è dovuto a qualcosa che è successo tra me e il nonno. Chi porta avanti questo comportamento? Se io so che lo faccio, posso anche non farlo. Se io so che io ho la tendenza a mettere in moto la macchina ogni mattina, spingendo troppo sulla benzina, sull'acceleratore, a volte ingolfo il motore. Se so questo, posso cambiare il modo di fare. Perciò prendo la mia vita in mano e scelgo, decido io, assumendo la responsabilità, dell'attimo che sto per vivere. Nella seduta l'individuo è portato a prendere contatto diretto col suo vissuto. Noi raccontiamo una situazione, la viviamo, non riflettiamo a distanza. Da questo processo che ho descritto, l'uomo cambia. Abbiamo un mare di tecniche (nella Gestalt la tecnica non è centrale) - fantasie guidate, esperienze motorie o corporee, in cui si prende atto di cose, sentendole, rovesciamenti di ruolo, "role playing" non solo con personaggi immaginari del sogno e del passato ma anche tra terapia e paziente. Importante è la relazione, forse la più importante di tutto. Dato che siamo nel "qui ed ora" non dimentichiamo che ci sono due persone, l'incontro tra due persone reali e concrete, sempre ricordate, sempre tenute presenti.
8. A proposito di questa relazione, possiamo parlare di esercizio di potere, da parte del terapeuta nei confronti del paziente?
Possiamo parlare parlare di esercizio di potere riguardo a chiunque. Il terapeuta certamente ha in apparenza un grosso peso. Il paziente apparentemente può essere in soggezione, ma la realtà è che molto spesso è più un'illusione che una realtà. Il terapeuta fondamentalmente, a parere mio, è un tassista: nell'apparenza di potere è al volante, però la realtà è che porta il paziente dove il paziente vuol essere portato. Non c'è niente che impedisca il paziente, perché può dire: "no, scusi, io scendo qua", e smetterla o "ci faccia fermare davanti al prossimo poliziotto". Il terapeuta apparentemente domina e guida la situazione; ma se è terapeuta e non un piccolo dittatore, sta cercando di portare ilpaziente dove vuol arrivare il paziente. Infatti si rivolge ad un terapeuta, non alla mamma, non all'amico, non all'amante, perché tutte queste persone vogliono il tuo bene, e hanno ben chiara l'idea di cos'è il suo bene. Il terapeuta non ti conosce, almeno all'inizio, non ha un pregiudizio a tuo riguardo, non sa già cosa andrebbe bene per te. Un'altra cosa si può dire riguardo all'esercizio del potere del terapeuta. Per la psicoanalisi freudiana, l'analista effetivamente non esiste perché il paziente non ha nessuna presa sulla realtà, sta soltanto proiettando. Al contrario, c'è un' altra scuola agli antipodi, l'ipnoterapia, per la quale il paziente non esiste: c'è solo la volontà dell'ipnotista, mentre il paziente fa quello che decide l'ipnotista. Per la Gestalt, invece, ci sei tu e ci sono io: esiste un io, esiste un tu, siamo tutti e due qui. Io non sono responsabile per quello che fai tu, ma lo sei tu; tu non sei responsabile per quello che faccio io, ma lo sono io. Non ci sono solo io con il mio paziente. C'è un'altra persona. Quello che succede tra di noi è l'interazione tra due persone. La nostra relazione è quello che faccio io con te e te con me.
9. Uno dei cardini della psicoanalisi tradizionale era la rielaborazione del sogno. Come avviene nella Gestalt la rielaborazione dei sogni?
La psicoanalisi vede il sogno come un testo da decifrare. Per la Gestalt, invece, un sogno è un'esperienza, che il profondo dell'organismo - noi non parliamo di un inconscio, ma di quello che è inconsapevole, quello che è oltre la nostra immediata osservazione - ci manda. Allora l'esperienza vissuta, se non è capita, è rivissuta, e, se non è capita, la rivediamo ancora molte volte. Poi ci sono tutti i dettagli nel sogno, che sono vissuti, non elaborati intellettualmente. La Gestalt, dunque, lavora sul sogno come un vissuto da penetrare vivendo, sentendo, guardando, annusando, toccando, piuttosto che una mappa da studiare.
10. Lei pensa che la terapia della Gestalt si possa adattare anche a culture diverse da quella occidentale?
Lo credo, ma si noti bene che questa terapia si adotterà in altre culture se lo vogliono, se ne sentono il bisogno. In Nigeria, secondo l'esperienza dei medici, la penicillina e anche altri antibiotici statisticamente funzionano molto meglio se offerti ai pazienti dagli stregoni che da un medico nell'ospedale con il camice bianco. Il professor Veronesi ha detto una volta che, se un uomo va a Lourdes fuziona se crede; e se uno va all'Istituto Tumori di Milano funziona se crede. C'è, in primo luogo, questo limite. Poi la Gestalt ha anche delle somiglianze con modelli terapeutici di altre culture, dove si visiona e, al limite, si dialoga con le figure del mito e del sogno. Ci sono gestaltisti che hanno lavorato in altri contesti culturali, in Africa, in Cina con delle tribù. Sembra che funzioni, perché soprattutto il paziente nella Gestalt non riceve l'interpretazione del saggio, ma è aiutato a fare la propria esplorazione e le sue proprie scoperte.
11. Lei, in quanto terapeuta, si sente portatore di qualche modello culturale dominante?
Mi sento portatore di modelli dominanti perché lo sono; ma sono anche dissidente verso loro. In un'epoca come la nostra non è semplice attribuire salute e positività alla cultura dominante e dunque, come Freud pensava, lavorare per adattare il paziente alla società. Dall'altra parte, non si può privilegiare l'organismo, il soggetto, il bambino o l'animale biologico dentro di noi perché si finisce con una visione dell'uomo immediata, priva di contesto. Questa è una grande difficoltà perché ci vuole una mediazione. Se io ho bisogno di una bistecca, uscire in strada e gridare con tutta la mia forza: "carne, voglio carne", non serve a niente. Farei meglio ad avere un po' di soldi in tasca, andare in una macelleria e comprare, facendo quei rituali sociali, che comportano l'acquisto di un po' di carne. Viviamo però in una società pazza, in una cultura che impone valori scarsamente umani e che ci aliena dalla nostra umanità, una società che non pensa più neanche a mantenere una società, ma soltanto a produrre e fare i soldi. Questa società, però, rimane l'unica società che abbiamo e l'uomo ha bisogno di un ambiente, l'uomo non può esistere senza gli altri. Noi siamo perciò in continua mediazione tra due fattori: il soggetto, il mondo oggettivo intorno, i miei bisogni, quello che si aspettano da me. In questo senso noi cerchiamo di spingere l'individuo verso quello che per lui è vantaggioso. Aver contatto con se stesso, ma mantenere dei rapporti validi - dare e prendere - con il mondo intorno.
12. Quali sono i tipi di patologie per i quali la Gestalt si rivela più efficace? Può la Gestalt essere utilizzata a scopo preventivo?
Non credo che una terapia sia più adatta per un tipo. Diversa ovviamente la gamma di medicinali e la divisione in specializzazioni della medicina. E' chiaro che un ortopedico ha il suo campo di azione, un internista un altro. Nella psicoterapia, invece, non credo che un tipo di terapia sia particolarmente rilevante per certe patologie, un altro tipo invece per altre. Piuttosto una determinata psicoterapia col suo modo di vedere e fare, è idonea per il suo modo di vivere e sentire l'esistenza. La Gestalt ormai esiste più o meno definita, cioè con i suoi contorni in evoluzione, dai tardi anni Quaranta, primi anni Cinquanta. Abbiamo ormai quasi mezzo secolo di esperienza e una grande gamma di applicazioni. In America è più conosciuta. In Italia, in certe altre zone dell'Europa è relativamente recente, ma anche questo ormai non è una differenza grossa. Parlavamo appunto della prevenzione. Sarebbe azzardato dire: “noi abbiamo la soluzione alla nostra civiltà, alla nostra società, ai mali di massa”. E' chiaro che una sensibilizzazione verso se stesso, anche a livello di scuola, a livello educativo, potrebbe aiutare le persone ad avere un minimo di dimestichezza con la propria consapevolezza, e ad assumersi le responsabilità. La Gestalt potrebbe aiutare, ma è chiaro che non si trasforma una civiltà per decreto, non si modificano le scuole con una legge. Stiamo parlando di miliardi di esseri umani. Inoltre l'imposizione di nuove soluzioni, la risoluzione definitiva dei problemi è una mentalità che ci ha anche creato un mare di guai.
13. Le faccio un'ultima domanda che riguarda invece la relazione tra la psicoterapia della Gestalt e le più moderne discipline psicobiologiche. Qual'è il loro rapporto e qual'è la loro relazione con discipline, come per esempio la psicogenetica e la neuropsicologia?
Nella misura in cui sorgono dati di fatto, ipotesi utilizzabili, la Gestalt è capace di utilizzarli per noi, non partendo da presupposti teorici ma dall'esperienza. La Gestalt è molto comprensibile nel contesto nuovo della neuropsicologia. Il nostro lavoro sistematicamente promuove il lato destro, che governa il lato sinistro; mentre il lato sinistro, che è in generale affettività e creatività, è sottovalutato nella nostra cultura, la quale favorisce il lato destro: la stretta di mano viene data, per esempio, con la destra. Noi disorganizziamo il lobo sinistro, noi smantelliamo il comportamento integrato del lato destro e promuoviamo l'uscita dal naturale del lato sinistro. I più coscienti, i più sensibili, capiscono benissimo che la coscienza dello spirito umano non è riducibile ai dati di fatto e ai principi di biologia. L'essere umano rimane un problema per se stesso. L'uomo continua a vivere nella sua libertà, nella sua possibilità di scegliere, nella sua condanna a dover decidere per essere responsabile.
* Professore Americano trapiantato in Italia noto per aver introdotto in Italia la teoria della Gestalt
fonte:
http://www.conoscenza.rai.it
1. Professore come nasce la teoria della Gestalt? Qual'è la teoria a cui si ispira, e chi ne è il caposcuola?
La psicoterapia della Gestalt è un approccio esistenziale, nasce in un certo senso dalla psicoanalisi freudiana e dall'incontro tra questa e altre correnti di pensiero. Nasce, in un certo senso, da un seminario di ricerca continuativa, che faceva Wilhelm Reich negli anni Venti-Trenta a Berlino, presso l'Istituto di Psicoanalisi. Era una ricerca straordinaria, ma ripetuta, sui casi falliti della psicoanalisi. Continuavano a guardare, nel corso di questo esame, il collega Friedrich Perce, che cominciava a revisionare la teoria psicoanalitica di Freud. Fritz Perce - moriva nel Settanta - ha creato, ideato, inventato questo approccio. Perce ha subito molte altre influenze, oltre la psicoanalisi, che è la sua matrice fondamentale. Era il nipote di uno dei più grandi psicologi della Gestalt - psicologia della percezione -, scuola che era fiorita in Germania soprattutto, ma anche in tutto il mondo, negli anni Venti e Trenta, e che continua a esistere. E' stato molto affascinato dal pensiero esistenzialista. In quegli anni a Berlino insegnavano Martin Buber - filosofo ebreo, ma che ha avuto una grossa influenza sul pensiero cristiano contemporaneo - e Paul Tillich, che è stato un grande teologo protestante di carattere esistenzialista derivato da Kierkegaard. Perce è stato influenzato da questo, ma anche dallo Zen.
2. Può mostrarci quali sono i concetti principali di questo pensiero?
La psicoterapia della Gestalt fondamentalmente è una psicoterapia. Non ha una psicologia sviluppata, non deriva da presupposti rigurdo all'eziologia, cioè lo sviluppo dell'individuo come acquisto di un comportamento nevrotico. Parte, invece, da una filosofia, poi applica delle tecniche per eseguire questa filosofia. Cerco di essere più chiaro. Sotto ogni impostazione psicoterapeutica ci sono valori e principi filsofici. Il vecchio Freud fondamentalmente pensava nei termini della scienza dell'Ottocento, della scienza del tardo Ottocento - dello Scientismo e del Positivismo deterministico. Era una visione biologicamente darwiniana, peraltro più chiusa al movimento e al soggetto, alla soggettività (tutto molto modificato nella rivoluzione post-einsteiniana). La Gestalt parte, diciamo, da una visione molto più esistenziale; parte dalla considerazione che siamo qui ed ora, che il passato esiste unicamente come traccia, rudere, registro archivio, ricordo, che non c'è. Esiste oggi solo quello che è presente, che il futuro non c'è, esiste soltanto come anticipazione, paura, speranza, pianificazione, progettazione. Fondamentalmente, dunque, non possiamo continuamente attribuire, per esempio, i nostri guai al passato e porre le nostre speranze, la nostra positività nel futuro. La Gestalt cerca di sensibilizzare l'individuo al suo essere qui ed ora, cerca di aiutarlo a stare qui ed ora e ad assumersi la responsabilità della sua esistenza, perché è inutile dire: "Sono così, faccio così, perché quando avevo tre anni mi è successo questo". Se guardi adesso, non hai più tre anni, è solo un ricordo. Se tu ti rendi conto che stai qui, adesso, e che non sei ancora là, dentro quella situazione, cambia tutta la prospettiva.
3. Qual è la rielaborazione che la Gestalt fa delle radici, della storia? Qual è la relazione con il passato?
La psicoanalisi lavora archeologicamente. Freud stesso diceva che la psicoanalisi era molto più uno strumento di ricerca che un metodo di guarigione. Nella psicoanalisi si scava nel passato cercando di ricordare, di riprendere, pur di guarire. Nella Gestalt, la nostra esperienza è che quando una persona, nel qui ed ora, scelga di cambiare e modifica il suo comportamento, allora vengono un mare di ricordi, che però non sono una corazza. I ricordi sono un epifenomeno, non sono l'elemento causale, l'elemento attivo. L'attivo è la volontà dell'uomo e la decisione.
4. La Gestalt fa molta leva sul concetto di "responsabilità", che lei ha già citato. Cosa significa in questo contesto?
La responsabilità non vuol dire imputazione o colpevolizzazione: "Tu sei responsabile", "è colpa tua". No. E' chiaro che l'individuo è stato plasmato da molteplici fattori. C'è una costituzione genetica, c'è un contesto in cui uno nasce - luogo, epoca, ceto sociale. Il bambino è sotto controllo dei genitori e di altri grandi. E' impossibile dire: "tu sei l'autore di tutto quello che sei". D'altra parte, nessuno può assumersi la responsabilità per me, effettuare le decisioni vitali, indirizzare la mia esistenza. Detto in termini più semplici: qualcuno deve portare fuori la spazzatura. La spazzatura mia la porto io. La responsabilità, dunque, non è colpevolizzazione. Tu sei l'autorità di tutto. Ma tu sei oggi il tuo problema. Non sono il problema di qualcun altro. Responsabilità significa modificare una situazione. Gli altri hanno la loro vita da vivere. E poi chi è pronto ad assumersi la responsabilità per me? Forse è meglio, alla fine, che io mi responsabilizzi per me stesso.
5. Qual è la visione generale dell'uomo che sottende alla psicoterapia della Gestalt? C'è qualche incompatibilità con qualche orientamento filosofico, religioso, umano?
Il bisogno di base della psicologia-psicoterapia della Gestalt è una visione esistenziale. Cerchiamo perciò di guardare alla realtà dell'uomo buttato nella sua vita. Per esempio, uno dei grossi fattori è che l'essere umano cerca di arricchirsi - non parlo solo materialmente - approfondirsi, elevarsi evolversi arricchhirsi culturalmente e umanamente, diventare qualcosa con cui è più felice, integrato, contento e, nel mezzo di questo sforzo di migliorarsi, muore. Questa è la situazione reale. Noi siamo sotto questa spada di Damocle. La morte può succedere in qualsiasi momento, non è prevedibile e l'unico breve quesito per morire è l'essere nato. Cio può accadere ad un bimbo e può accadere ad un vecchio. Noi siamo sempre sotto questa minaccia. C'è una non garanzia, un'incertezza, che caratterizza fodamentalmente la vita dell'essere umano. Gli altri organismi non capiscono questo come lo capisce l'uomo. L'uomo è chi sa che è davanti a questo pericolo, che la sua vita molto probabilmente comporta, se è fortunato, invecchiamento e malattia, ma comunque morte. Questo condiziona fondamentalmente la nostra situazione.
6. Friedrich Perls diceva una cosa molto bella quando affermava che lo scopo della terapia della Gestalt era quello di trasformare individui di plastica in persone reali. Cosa vuol dire questo?
Vuol dire forse che noi viviamo in un'epoca dove, più che mai, nella storia umana, c'è l'imposizione del modello. Oggi tutti hanno il dovere di essere belli, creativi, ottimistici, socievoli, positivi. E' anche manipolabile per gli scopi, senz'altro sacrosanti, della società. In questo momento storico, quando il modello, le regole, il ruolo sono imposti così pesantemente, ci dovrebbe essere positività. Invece non c'è mai stata una epidemia di malattie psicosomatiche, di malattie mentali, di tossicodipendenza. E'un'ondata di reazione contro l'imposizione della positività, per cui in tutto il mondo c'è violenza su ogni quadrato della città e c'è abuso in ogni normale rapporto umano, tra uomo e donna, tra adulto e bambino, tra società e stato. Allora Fritz Perce percepiva noi tutti come alienati da noi stessi. C'è un pensatore psicoanalitico, Winnicot, che in qualche modo vedeva singolarmente, e parla del "falso Sé". L'individuo da bambino è obbligato a scegliere tra essere adeguato alla sua natura, leale ai suoi bisogni e desideri, o adattarsi, adeguarsi al modello - io ho detto prima regole, ruoli -, cioè fa quello che la famiglia richiede come prezzo di appartenenza e come qui pro quo per il sostegno di cui il bambino ha assoluto bisogno. Il bambino impara dunque a scegliere tra se stesso e se stesso, tra la sua sopravvivenza come soggetto, come essere che si sente e si esprime e la sua sopravvienza come organismo, come unità sociale, come persona che ha altri bisogni. Ha bisogno di essere amato, ha bisogno di attenzione. Allora noi cresciamo, svolgendo dei ruoli, vivendo solo parzialmente, rimuovendo o scartando grosse fette di noi stessi e così diventiamo quello che Perce in una parola chiamava "plastica", invece di essere carne e ossa.
7. Professore, proviamo a entrare nel "setting". Come si svolge la terapia? Può descriverci in qualche modo le tecniche, la loro relazione con il trattamento terapeutico della Gestalt?
La Gestalt punta a mettere l'individuo in contatto diretto con la situazione, il tema che si sta esplorando. Alla fine, implicitamente, cerca di mettere l'individuo in contatto diretto con se stesso. Anzicché stare esterno a me e considerarmi al di sopra di me, riflettendo, io mi sento, agisco con la mia coscienza diretta. Per esempio, se lavoriamo su un sogno, sperimetiamo il sogno. C'è una specie di psicodramma. Io agisco, recito un ruolo, mi identifico con gli elementi, le forze in campo e tramite questa identificazione, so da dentro mettermi nei panni di cosa significa non partire da un'astrazione, ma partire da un'esperienza. Questa esperienza diretta fa nascere una consapevolezza. Una cosa è chi spiega una situazione, un'altra è che tu ci sei stato, hai visto, hai vissuto, sei testimone diretto. Io non ho bisogno che qualcuno mi spiega che sono qui adesso, cosa sto provando e cosa sto facendo, perché ci sto. Poi c'è la presa di coscienza, la consapevolezza per il fatto che sono dentro, che non è un rapporto a distanza tra me e me, o me e il mio sogno, o me e il mio ricordo, me e mio padre. Divento mio padre. Io dialogo con diverse parti di me. In questo modo sostituisco la proiezione, cioè il mandar via con l'dentificazione. Come diceva Freud, dunque, dove c'era Es ci sarà Io, dove c'era "quello là" ci sarà, invece, la persona. Non è più che una mia ombra, una mia parte, un mio difetto è alieno a me, perché io lo assumo, io riprendo possesso, so che fa parte di me, e - ho detto che dall'esperienza diretta sorge la consapevolezza; dalla consapevolezza sorge la funzione di responsabilità, perché so cosa faccio, so che io la faccio, non che mi accade o che è dovuto a qualcosa che è successo tra me e il nonno. Chi porta avanti questo comportamento? Se io so che lo faccio, posso anche non farlo. Se io so che io ho la tendenza a mettere in moto la macchina ogni mattina, spingendo troppo sulla benzina, sull'acceleratore, a volte ingolfo il motore. Se so questo, posso cambiare il modo di fare. Perciò prendo la mia vita in mano e scelgo, decido io, assumendo la responsabilità, dell'attimo che sto per vivere. Nella seduta l'individuo è portato a prendere contatto diretto col suo vissuto. Noi raccontiamo una situazione, la viviamo, non riflettiamo a distanza. Da questo processo che ho descritto, l'uomo cambia. Abbiamo un mare di tecniche (nella Gestalt la tecnica non è centrale) - fantasie guidate, esperienze motorie o corporee, in cui si prende atto di cose, sentendole, rovesciamenti di ruolo, "role playing" non solo con personaggi immaginari del sogno e del passato ma anche tra terapia e paziente. Importante è la relazione, forse la più importante di tutto. Dato che siamo nel "qui ed ora" non dimentichiamo che ci sono due persone, l'incontro tra due persone reali e concrete, sempre ricordate, sempre tenute presenti.
8. A proposito di questa relazione, possiamo parlare di esercizio di potere, da parte del terapeuta nei confronti del paziente?
Possiamo parlare parlare di esercizio di potere riguardo a chiunque. Il terapeuta certamente ha in apparenza un grosso peso. Il paziente apparentemente può essere in soggezione, ma la realtà è che molto spesso è più un'illusione che una realtà. Il terapeuta fondamentalmente, a parere mio, è un tassista: nell'apparenza di potere è al volante, però la realtà è che porta il paziente dove il paziente vuol essere portato. Non c'è niente che impedisca il paziente, perché può dire: "no, scusi, io scendo qua", e smetterla o "ci faccia fermare davanti al prossimo poliziotto". Il terapeuta apparentemente domina e guida la situazione; ma se è terapeuta e non un piccolo dittatore, sta cercando di portare ilpaziente dove vuol arrivare il paziente. Infatti si rivolge ad un terapeuta, non alla mamma, non all'amico, non all'amante, perché tutte queste persone vogliono il tuo bene, e hanno ben chiara l'idea di cos'è il suo bene. Il terapeuta non ti conosce, almeno all'inizio, non ha un pregiudizio a tuo riguardo, non sa già cosa andrebbe bene per te. Un'altra cosa si può dire riguardo all'esercizio del potere del terapeuta. Per la psicoanalisi freudiana, l'analista effetivamente non esiste perché il paziente non ha nessuna presa sulla realtà, sta soltanto proiettando. Al contrario, c'è un' altra scuola agli antipodi, l'ipnoterapia, per la quale il paziente non esiste: c'è solo la volontà dell'ipnotista, mentre il paziente fa quello che decide l'ipnotista. Per la Gestalt, invece, ci sei tu e ci sono io: esiste un io, esiste un tu, siamo tutti e due qui. Io non sono responsabile per quello che fai tu, ma lo sei tu; tu non sei responsabile per quello che faccio io, ma lo sono io. Non ci sono solo io con il mio paziente. C'è un'altra persona. Quello che succede tra di noi è l'interazione tra due persone. La nostra relazione è quello che faccio io con te e te con me.
9. Uno dei cardini della psicoanalisi tradizionale era la rielaborazione del sogno. Come avviene nella Gestalt la rielaborazione dei sogni?
La psicoanalisi vede il sogno come un testo da decifrare. Per la Gestalt, invece, un sogno è un'esperienza, che il profondo dell'organismo - noi non parliamo di un inconscio, ma di quello che è inconsapevole, quello che è oltre la nostra immediata osservazione - ci manda. Allora l'esperienza vissuta, se non è capita, è rivissuta, e, se non è capita, la rivediamo ancora molte volte. Poi ci sono tutti i dettagli nel sogno, che sono vissuti, non elaborati intellettualmente. La Gestalt, dunque, lavora sul sogno come un vissuto da penetrare vivendo, sentendo, guardando, annusando, toccando, piuttosto che una mappa da studiare.
10. Lei pensa che la terapia della Gestalt si possa adattare anche a culture diverse da quella occidentale?
Lo credo, ma si noti bene che questa terapia si adotterà in altre culture se lo vogliono, se ne sentono il bisogno. In Nigeria, secondo l'esperienza dei medici, la penicillina e anche altri antibiotici statisticamente funzionano molto meglio se offerti ai pazienti dagli stregoni che da un medico nell'ospedale con il camice bianco. Il professor Veronesi ha detto una volta che, se un uomo va a Lourdes fuziona se crede; e se uno va all'Istituto Tumori di Milano funziona se crede. C'è, in primo luogo, questo limite. Poi la Gestalt ha anche delle somiglianze con modelli terapeutici di altre culture, dove si visiona e, al limite, si dialoga con le figure del mito e del sogno. Ci sono gestaltisti che hanno lavorato in altri contesti culturali, in Africa, in Cina con delle tribù. Sembra che funzioni, perché soprattutto il paziente nella Gestalt non riceve l'interpretazione del saggio, ma è aiutato a fare la propria esplorazione e le sue proprie scoperte.
11. Lei, in quanto terapeuta, si sente portatore di qualche modello culturale dominante?
Mi sento portatore di modelli dominanti perché lo sono; ma sono anche dissidente verso loro. In un'epoca come la nostra non è semplice attribuire salute e positività alla cultura dominante e dunque, come Freud pensava, lavorare per adattare il paziente alla società. Dall'altra parte, non si può privilegiare l'organismo, il soggetto, il bambino o l'animale biologico dentro di noi perché si finisce con una visione dell'uomo immediata, priva di contesto. Questa è una grande difficoltà perché ci vuole una mediazione. Se io ho bisogno di una bistecca, uscire in strada e gridare con tutta la mia forza: "carne, voglio carne", non serve a niente. Farei meglio ad avere un po' di soldi in tasca, andare in una macelleria e comprare, facendo quei rituali sociali, che comportano l'acquisto di un po' di carne. Viviamo però in una società pazza, in una cultura che impone valori scarsamente umani e che ci aliena dalla nostra umanità, una società che non pensa più neanche a mantenere una società, ma soltanto a produrre e fare i soldi. Questa società, però, rimane l'unica società che abbiamo e l'uomo ha bisogno di un ambiente, l'uomo non può esistere senza gli altri. Noi siamo perciò in continua mediazione tra due fattori: il soggetto, il mondo oggettivo intorno, i miei bisogni, quello che si aspettano da me. In questo senso noi cerchiamo di spingere l'individuo verso quello che per lui è vantaggioso. Aver contatto con se stesso, ma mantenere dei rapporti validi - dare e prendere - con il mondo intorno.
12. Quali sono i tipi di patologie per i quali la Gestalt si rivela più efficace? Può la Gestalt essere utilizzata a scopo preventivo?
Non credo che una terapia sia più adatta per un tipo. Diversa ovviamente la gamma di medicinali e la divisione in specializzazioni della medicina. E' chiaro che un ortopedico ha il suo campo di azione, un internista un altro. Nella psicoterapia, invece, non credo che un tipo di terapia sia particolarmente rilevante per certe patologie, un altro tipo invece per altre. Piuttosto una determinata psicoterapia col suo modo di vedere e fare, è idonea per il suo modo di vivere e sentire l'esistenza. La Gestalt ormai esiste più o meno definita, cioè con i suoi contorni in evoluzione, dai tardi anni Quaranta, primi anni Cinquanta. Abbiamo ormai quasi mezzo secolo di esperienza e una grande gamma di applicazioni. In America è più conosciuta. In Italia, in certe altre zone dell'Europa è relativamente recente, ma anche questo ormai non è una differenza grossa. Parlavamo appunto della prevenzione. Sarebbe azzardato dire: “noi abbiamo la soluzione alla nostra civiltà, alla nostra società, ai mali di massa”. E' chiaro che una sensibilizzazione verso se stesso, anche a livello di scuola, a livello educativo, potrebbe aiutare le persone ad avere un minimo di dimestichezza con la propria consapevolezza, e ad assumersi le responsabilità. La Gestalt potrebbe aiutare, ma è chiaro che non si trasforma una civiltà per decreto, non si modificano le scuole con una legge. Stiamo parlando di miliardi di esseri umani. Inoltre l'imposizione di nuove soluzioni, la risoluzione definitiva dei problemi è una mentalità che ci ha anche creato un mare di guai.
13. Le faccio un'ultima domanda che riguarda invece la relazione tra la psicoterapia della Gestalt e le più moderne discipline psicobiologiche. Qual'è il loro rapporto e qual'è la loro relazione con discipline, come per esempio la psicogenetica e la neuropsicologia?
Nella misura in cui sorgono dati di fatto, ipotesi utilizzabili, la Gestalt è capace di utilizzarli per noi, non partendo da presupposti teorici ma dall'esperienza. La Gestalt è molto comprensibile nel contesto nuovo della neuropsicologia. Il nostro lavoro sistematicamente promuove il lato destro, che governa il lato sinistro; mentre il lato sinistro, che è in generale affettività e creatività, è sottovalutato nella nostra cultura, la quale favorisce il lato destro: la stretta di mano viene data, per esempio, con la destra. Noi disorganizziamo il lobo sinistro, noi smantelliamo il comportamento integrato del lato destro e promuoviamo l'uscita dal naturale del lato sinistro. I più coscienti, i più sensibili, capiscono benissimo che la coscienza dello spirito umano non è riducibile ai dati di fatto e ai principi di biologia. L'essere umano rimane un problema per se stesso. L'uomo continua a vivere nella sua libertà, nella sua possibilità di scegliere, nella sua condanna a dover decidere per essere responsabile.
* Professore Americano trapiantato in Italia noto per aver introdotto in Italia la teoria della Gestalt
fonte:
http://www.conoscenza.rai.it