I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) possono essere definiti come
comportamenti disadattivi finalizzati al controllo del peso corporeo che danneggiano
la salute fisica, il funzionamento psicologico e che non sono secondari a nessuna
condizione medica o psichiatrica conosciuta.
Il cibo nella psicoterapia della Gestalt rappresenta la metafora dell’altro, ma
soprattutto la metafora della relazione con l’Altro (con Altro si vuole intendere il
mondo esterno, lo sfondo, come è definito dai teorici della Gestalt Therapy) (Perls,
1995): infatti i disturbi del circuito anoressico-bulimico (restrizione alimentare,
digiuno, abbuffata, vomito, ecc.) vengono letti ed analizzati all’interno della
dialettica “Io-Tu”, quali espressione di una peculiare modalità di contatto con
l’ambiente (Cannella, Cavaleri, 2002).
I soggetti che soffrono di disturbi dell’alimentazione, attraverso la loro
sintomatologia, e rifiutando sostanzialmente il cibo, rigettano l’Altro, poiché, è
ipotizzabile, abbiano sperimentato sin dalla loro infanzia una relazione insufficiente
con ciò che proviene dall’esterno (lo sfondo, l’ambiente). Essi non riescono a fidarsi
di ciò che deriva dalla realtà esterna, è, dunque, possibile ipotizzare che a livello
evolutivo abbiano avuto un vissuto personale troppo poco sostenuto dalle figure di
riferimento più importanti, che possono essere state inaffidabili o contraddittorie
(Minuchin, Rosman, Baker, 1980).
Psicoterapia della Gestalt nell’Anoressia Nervosa
Sia L’ICD-10 (OMS, 1993) che il DSM-IV (APA, 1994) riportano tra le varie
cause che determinano Anoressia Nervosa l’errata percezione di se stessi come
troppo grassi, il che conduce al terrore della grassezza o della forma del proprio
corpo, tale da avere effetti negativi sull’autostima.
La confluenza impedisce qualsiasi confronto sociale e contatto autentico con
l’ambiente, è possibile, quindi, che il paziente anoressico sperimenti questa
sensazione di distacco dagli altri, sentimento che è stato causato o ampliato (se già
presente, seppur in forma ridotta) da sensazioni di inadeguatezza al campo in cui si
vive, o da relazioni affettive non soddisfacenti.
L’atteggiamento che si sviluppa “è un aggrapparsi all’inconsapevolezza, come se
si aggrappasse a qualche comportamento acquisito per trarne soddisfacimento.
Ma dal momento che l’altro comportamento è ormai acquisito e abituale, non porta
con sé nessuna soddisfazione consapevole ma solo un senso di sicurezza” (Perls,
Hefferline, Goodman, 1997, pag. 256). Il continuo controllo del peso corporeo e
delle calorie ingerite offrono, perciò, una sensazione di sicurezza che serve a
combattere ciò che non si è in grado di controllare.
La difficoltà che si incontra con questo tipo di persona è quella di impedire che il
“comportamento anoressico” acquisito, che ormai è divenuto abituale, possa essere
cambiato, tale resistenza attuata è talmente forte da impedire ogni sensazione (Perls,
Hefferline, Goodman, 1997), soprattutto quella della fame, che sembra essere
completamente scomparsa. Ciò avviene perché il soggetto anoressico non riuscendo
a separarsi dalla situazione nella quale si trova, blocca l’insorgenza del bisogno
cercando di differenziarsi dall’ambiente (Righetti, 2005), ambiente che sembra
inglobarlo.
L’introiezione “opera uno spostamento della propria pulsione potenziale o del
proprio appetito con quello di qualcun altro” (Perls, Hefferline, Goodman, 1997, pag.
257). Il paziente anoressico mediante l’introiezione tende ad “inghiottire” (Ginger,
2004) interamente le idee, le opinioni e i canoni dell’ambiente in cui si trova, senza
prima distruggerli e destrutturarli per poi dividerli, assimilando solamente gli
introietti buoni (Giusti, Rosa, 2002).In altre parole il soggetto anoressico all’inizio si uniforma alla società, la quale osservando con piacere i cambiamenti rafforza il messaggio, che non viene
adeguatamente destrutturato, portando al mantenimento di adeguazione alla società
da parte del soggetto.
La proiezione è la resistenza con cui l’organismo attribuisce all’ambiente gran
parte di sé, invadendolo e proiettandovi ciò che varrebbe per se stesso, questo
disturbo del contatto ha anche una valenza positiva importante per la crescita
dell’organismo: la capacita del soggetto di prevedere ed anticipare i comportamenti
degli altri, permettendo di spostare il proprio punto di vista, identificandosi con
l’altro nella rappresentazione che questo ha del mondo (Giusti, Rosa, 2002).
Nei pazienti anoressici questo meccanismo viene messo in atto anche quando la
situazione non lo richiederebbe. Infatti, per i soggetti indicati, la condizione di
estrema magrezza in cui versano è vista, secondo loro, dalla società con piacere,
perché loro vedono le loro forme, “ridotte ai minimi termini”, come qualcosa di
bello, forse rappresentante la bellezza pura.
La retroflessione inibisce la capacità di fronteggiare le situazioni ambientali ostili
al sé che si presentano (traumi psicologici gravi, mancanza di empatia all’interno
della famiglia, separazione affettiva, ecc.), anche sottoforma di sentimenti; il
paziente anoressico risulterà quindi essere frustrato e impegnerà le proprie energie
“contro gli unici oggetti privi di pericolo disponibili nel campo, e cioè la propria
personalità e il proprio corpo” (Perls, Hefferline, Goodman, 1997, pag. 260).
Questo può verificarsi perché normalmente la retroflessione è quel processo che
permette di riformare se stessi, correggendo un approccio sbagliato con il campo, lo
sfondo o la situazione in cui l’individuo viene a trovarsi (ad esempio il rapporto con
gli altri visto conflittuoso a causa della propria immagine corporea, che non
rispetterebbe l’immagine di sé sviluppata dal paziente anoressico).
Chi utilizza la retroflessione come resistenza cerca di annullare il proprio errore,
nel caso specifico del paziente anoressico, l’errore in questione, è quello di credere di
non essere come gli altri si aspettano che essi siano, rimpiangendo il fatto di “aver
invaso l’ambiente” (Perls, Hefferline, Goodman, 1997, pag. 260), compiendo una
specie di annullamento: smette, infatti, di assumere la quasi totalità degli alimenti.
L’egotismo è un modo per evitare il contatto finale in cui l’Io diventa ipertrofico e
il confine di contatto s’irrigidisce notevolmente (Giusti, Rosa, 2002).
Questo tipo di comportamento determina la consapevolezza deliberata di un
tentativo di annientamento dell’elemento incontrollabile e sorprendente, il
meccanismo messo in atto è la fissazione, ovvero l’astrazione del comportamento
che viene controllato fino allo spasmo (Perls, Hefferline, Goodman, 1997).
Nei pazienti anoressici questa interruzione potrebbe spiegare la creazione di
pratiche rituali prima e durante il pasto (comportamento pascolare), soprattutto il
controllo forsennato delle calorie assunte, ma anche nella vita sociale quotidiana e
nella vita privata.
comportamenti disadattivi finalizzati al controllo del peso corporeo che danneggiano
la salute fisica, il funzionamento psicologico e che non sono secondari a nessuna
condizione medica o psichiatrica conosciuta.
Il cibo nella psicoterapia della Gestalt rappresenta la metafora dell’altro, ma
soprattutto la metafora della relazione con l’Altro (con Altro si vuole intendere il
mondo esterno, lo sfondo, come è definito dai teorici della Gestalt Therapy) (Perls,
1995): infatti i disturbi del circuito anoressico-bulimico (restrizione alimentare,
digiuno, abbuffata, vomito, ecc.) vengono letti ed analizzati all’interno della
dialettica “Io-Tu”, quali espressione di una peculiare modalità di contatto con
l’ambiente (Cannella, Cavaleri, 2002).
I soggetti che soffrono di disturbi dell’alimentazione, attraverso la loro
sintomatologia, e rifiutando sostanzialmente il cibo, rigettano l’Altro, poiché, è
ipotizzabile, abbiano sperimentato sin dalla loro infanzia una relazione insufficiente
con ciò che proviene dall’esterno (lo sfondo, l’ambiente). Essi non riescono a fidarsi
di ciò che deriva dalla realtà esterna, è, dunque, possibile ipotizzare che a livello
evolutivo abbiano avuto un vissuto personale troppo poco sostenuto dalle figure di
riferimento più importanti, che possono essere state inaffidabili o contraddittorie
(Minuchin, Rosman, Baker, 1980).
Psicoterapia della Gestalt nell’Anoressia Nervosa
Sia L’ICD-10 (OMS, 1993) che il DSM-IV (APA, 1994) riportano tra le varie
cause che determinano Anoressia Nervosa l’errata percezione di se stessi come
troppo grassi, il che conduce al terrore della grassezza o della forma del proprio
corpo, tale da avere effetti negativi sull’autostima.
La confluenza impedisce qualsiasi confronto sociale e contatto autentico con
l’ambiente, è possibile, quindi, che il paziente anoressico sperimenti questa
sensazione di distacco dagli altri, sentimento che è stato causato o ampliato (se già
presente, seppur in forma ridotta) da sensazioni di inadeguatezza al campo in cui si
vive, o da relazioni affettive non soddisfacenti.
L’atteggiamento che si sviluppa “è un aggrapparsi all’inconsapevolezza, come se
si aggrappasse a qualche comportamento acquisito per trarne soddisfacimento.
Ma dal momento che l’altro comportamento è ormai acquisito e abituale, non porta
con sé nessuna soddisfazione consapevole ma solo un senso di sicurezza” (Perls,
Hefferline, Goodman, 1997, pag. 256). Il continuo controllo del peso corporeo e
delle calorie ingerite offrono, perciò, una sensazione di sicurezza che serve a
combattere ciò che non si è in grado di controllare.
La difficoltà che si incontra con questo tipo di persona è quella di impedire che il
“comportamento anoressico” acquisito, che ormai è divenuto abituale, possa essere
cambiato, tale resistenza attuata è talmente forte da impedire ogni sensazione (Perls,
Hefferline, Goodman, 1997), soprattutto quella della fame, che sembra essere
completamente scomparsa. Ciò avviene perché il soggetto anoressico non riuscendo
a separarsi dalla situazione nella quale si trova, blocca l’insorgenza del bisogno
cercando di differenziarsi dall’ambiente (Righetti, 2005), ambiente che sembra
inglobarlo.
L’introiezione “opera uno spostamento della propria pulsione potenziale o del
proprio appetito con quello di qualcun altro” (Perls, Hefferline, Goodman, 1997, pag.
257). Il paziente anoressico mediante l’introiezione tende ad “inghiottire” (Ginger,
2004) interamente le idee, le opinioni e i canoni dell’ambiente in cui si trova, senza
prima distruggerli e destrutturarli per poi dividerli, assimilando solamente gli
introietti buoni (Giusti, Rosa, 2002).In altre parole il soggetto anoressico all’inizio si uniforma alla società, la quale osservando con piacere i cambiamenti rafforza il messaggio, che non viene
adeguatamente destrutturato, portando al mantenimento di adeguazione alla società
da parte del soggetto.
La proiezione è la resistenza con cui l’organismo attribuisce all’ambiente gran
parte di sé, invadendolo e proiettandovi ciò che varrebbe per se stesso, questo
disturbo del contatto ha anche una valenza positiva importante per la crescita
dell’organismo: la capacita del soggetto di prevedere ed anticipare i comportamenti
degli altri, permettendo di spostare il proprio punto di vista, identificandosi con
l’altro nella rappresentazione che questo ha del mondo (Giusti, Rosa, 2002).
Nei pazienti anoressici questo meccanismo viene messo in atto anche quando la
situazione non lo richiederebbe. Infatti, per i soggetti indicati, la condizione di
estrema magrezza in cui versano è vista, secondo loro, dalla società con piacere,
perché loro vedono le loro forme, “ridotte ai minimi termini”, come qualcosa di
bello, forse rappresentante la bellezza pura.
La retroflessione inibisce la capacità di fronteggiare le situazioni ambientali ostili
al sé che si presentano (traumi psicologici gravi, mancanza di empatia all’interno
della famiglia, separazione affettiva, ecc.), anche sottoforma di sentimenti; il
paziente anoressico risulterà quindi essere frustrato e impegnerà le proprie energie
“contro gli unici oggetti privi di pericolo disponibili nel campo, e cioè la propria
personalità e il proprio corpo” (Perls, Hefferline, Goodman, 1997, pag. 260).
Questo può verificarsi perché normalmente la retroflessione è quel processo che
permette di riformare se stessi, correggendo un approccio sbagliato con il campo, lo
sfondo o la situazione in cui l’individuo viene a trovarsi (ad esempio il rapporto con
gli altri visto conflittuoso a causa della propria immagine corporea, che non
rispetterebbe l’immagine di sé sviluppata dal paziente anoressico).
Chi utilizza la retroflessione come resistenza cerca di annullare il proprio errore,
nel caso specifico del paziente anoressico, l’errore in questione, è quello di credere di
non essere come gli altri si aspettano che essi siano, rimpiangendo il fatto di “aver
invaso l’ambiente” (Perls, Hefferline, Goodman, 1997, pag. 260), compiendo una
specie di annullamento: smette, infatti, di assumere la quasi totalità degli alimenti.
L’egotismo è un modo per evitare il contatto finale in cui l’Io diventa ipertrofico e
il confine di contatto s’irrigidisce notevolmente (Giusti, Rosa, 2002).
Questo tipo di comportamento determina la consapevolezza deliberata di un
tentativo di annientamento dell’elemento incontrollabile e sorprendente, il
meccanismo messo in atto è la fissazione, ovvero l’astrazione del comportamento
che viene controllato fino allo spasmo (Perls, Hefferline, Goodman, 1997).
Nei pazienti anoressici questa interruzione potrebbe spiegare la creazione di
pratiche rituali prima e durante il pasto (comportamento pascolare), soprattutto il
controllo forsennato delle calorie assunte, ma anche nella vita sociale quotidiana e
nella vita privata.