Psicoterapia della Gestalt nella Bulimia Nervosa Il DSM-IV (APA, 1994) riporta tra le varie cause che determinano la Bulimia Nervosa gli episodi di abbuffate che si verificano con la sensazione di perdere il controllo e uno scarso livello di autostima influenzato dal peso e dalla forma del corpo. È possibile valutare questo criterio diagnostico secondo l’ottica gestaltica, analizzando le interruzioni del ciclo di contatto (le resistenze) e come queste vengono attuate dai soggetti affetti da Bulimia Nervosa. Tale criterio diagnostico, che tra tutti quelli riportati dai due manuali diagnostici è il più psicologico (infatti nell’ICD-10 (OMS, 1993) i criteri diagnostici riportati sono prettamente di tipo medico. La confluenza nella Bulimia nervosa La confluenza, impedendo il confronto sociale e il contatto autentico con l’ambiente per l’assenza del confine di contatto, fa in modo che il sé perda la propria identità, è possibile allora che il paziente bulimico provi questa mancanza del sé e della propria identità (Righetti, 2005a) e per compensarla inizi ad ingoiare tutto ciò che trova, con la speranza di poter ripristinare ciò che in quel particolare momento di dolore, di frustrazione, o di abbandono alle proprie emozioni ingestibili, è andato perduto o risulta mancante. E’ come se, nella confluenza, il soggetto sentendosi completamente invaso dall’ambiente diventasse un tutt’uno con quest’ultimo; questa “fusione”, che porta ad una mancanza di consapevolezza, impedirebbe al soggetto di riconquistare il confine di contatto, non riuscendo a “ritrovare la sua identità personale contrassegnata dalla singolarità e dalla differenza” (Ginger, 2004, pag. 143). Questa resistenza potrebbe altresì svilupparsi a causa dell’evitamento del ricordo (Giusti, Rosa, 2002); essa potrebbe insorgere dopo esperienze sociali negative, che hanno visto il soggetto rifiutato dai famigliari o dai suoi pari (Minuchin, Rosman, Baker, 1980; Vandereycken, 1998), dal momento che il ricordo di questi momenti rinnoverebbe la sofferenza che comporterebbe l’insorgenza di un’ansia molto forte, il suo evitamento interromperà la continuità dell’esperienza dolorosa (Giusti, Rosa, 40 2002) lasciando però il soggetto bulimico in una condizione di stallo tra l’esperienza di contatto finale e il conseguente ritiro, cioè l’elaborazione del dolore, e il non contatto con il conseguente mancato ritiro. La condizione di non ritiro diverrebbe uno stato cronico, in cui mancherebbe la differenziazione tra il sé e l’ambiente (Giusti, Rosa, 2002), che provocherebbe il ciclo abbuffata-metodi compensatori nella speranza di ritrovare ciò che si è smarrito nel campo.L’introiezione nella Bulimia Nervosa L’introiezione “avviene durante l’eccitazione, per una abituale inibizione al bisogno. L’organismo ha incorporato degli ‹‹oggetti›› appartenenti all’ambiente; questi apprendimenti impediscono o distorcono la consapevolezza e l’orientamento”. Allora “l’organismo non è in grado di concentrarsi sulla sua esigenza, ha paura di andare nel vuoto” (Righetti, 2005a, pag. 42). In altre parole, accade che il soggetto bulimico verrebbe sorpreso da un bisogno immediato ed impellente: essere riconosciuto dalla società; non riuscendo a soddisfarlo, andrebbe alla ricerca di qualcosa che possa soddisfare questo incremento repentino dell’eccitazione che provoca un sentimento frustrante di vuoto, che trova sollievo nel cibo; durante l’abbuffata, l’assunzione di grande quantità di cibo in poco tempo il cui scopo reale sembra essere il riempimento del sentimento di vuoto provato, il soggetto perde la consapevolezza di quello che sta facendo; in questa fase la velocità di introiezione è talmente elevata che, anche a causa della gran quantità di oggetti (cibo) assunti non è possibile una corretta masticazione (distruzione e destrutturazione), impedendo di distinguere tra gli oggetti buoni e quelli cattivi, bloccandone l’assimilazione. In questo caso l’introiezione diverrebbe patologica poiché tutto, idee e principi sociali compresi, verrebbe “inghiottito” quasi per intero. Lo scopo finale dell’ introiezione bulimica sembra quasi essere quello di cercare di mantenere o aumentare la propria autostima attraverso l’introiezione dei più svariati e numerosi oggetti esterni. “In modo nevrotico colui che introietta viene a patti con il proprio appetito frustrato” (Perls, Hefferline, Goodman, 1997, pag. 257), il quale sembra da un lato chiedere di voler dimagrire per essere socialmente accettato, dall’altro però, forse il suo lato vero, vuole essere accettato per quello che è, senza dover cambiare. Ne deriverebbe una soddisfazione masochistica che, come nel caso dell’Anoressia Nervosa, consiste nell’adattare nel modo più creativo possibile l’esigenza ambientale (essere magri per piacere), alla propria esigenza personale (essere riconosciuti per quello che si è), tale adattamento si verifica con il vomito autoindotto, il digiuno forzato per alcuni giorni e l’assunzione spontaneo di purganti o prodotti diuretici. La proiezione nella Bulimia Nervosa Per i soggetti bulimici la proiezione assume una valenza invasiva per il mondo esterno, attribuendovi parte di sé e parte della propria energia che risulta essere in eccesso. Infatti se durante l’abbuffata viene sperimentata la sensazione di perdita di controllo, nei momenti immediatamente successivi, l’individuo cerca di ripristinare l’energia, dissipando, in vario modo, quella in più che ha accumulato. La posizione iniziale di ambiente che contiene e che entra in contatto con l’organismo viene ribaltata, ora è l’organismo che dà all’ambiente i propri contenuti (non viene utilizzato il termine ridare perché gli oggetti non vengono restituiti nella stessa forma in cui vengono introiettati inizialmente, ma essi sono restituiti modificati nella forma e in parte nella sostanza), infatti il vomito indotto volontariamente sembra essere una manifestazione di protesta verso tutti quelli che non l’hanno accettato e non lo sanno accettare così com’è . In tutto questo circuito vizioso, fatto di abbuffate e repentini “svuotamenti”, si può osservare la volontà del soggetto bulimico di uniformarsi con il resto della società, ma anche la ricerca del mantenimento della propria individualità, di essere voluti e apprezzati per come si è, anche brutti, ciò che egli restituisce al mondo infatti non rappresenta la sua parte migliore. La retroflessione nella Bulimia Nervosa La retroflessione oltre a inibire la capacità di fronteggiare le ostilità ambientali, permette di riformare se stessi, correggendo un approccio sbagliato al campo (Perls, Hefferline, Goodman, 1997). Il vomito autoindotto è una prassi presente anche nell’Anoressia Nervosa. La differenza principale è che negli episodi bulimici la pratica viene espletata per eliminare tutto quello che viene assunto in più, mentre negli episodi anoressici il vomito viene causato per svuotare ed eliminare quello che non c’è. Nel caso proprio della Bulimia Nervosa l’approccio sbagliato, l’errore, può essere identificato nella volontà di voler essere esattamente come gli altri ci vorrebbero, il che conduce all’abbuffata iniziale. In seguito, la persona bulimica, accorgendosi che questa sua credenza è erronea e comprendendo che il comportamento attuato è sbagliato, cerca di annullarlo. L’unica maniera, la più immediata che trova, è dunque quella di auto-provocarsi il vomito. La soddisfazione del soggetto bulimico che retroflette consiste nella pulsione erotica deviata che il soggetto si procura. Nella Bulimia Nervosa si presentano due forme di violenza verso il proprio corpo: la prima sarebbe rappresentata dall’abbuffata, lo riempire senza criterio fino a scoppiare; la seconda invece consisterebbe nello svuotare quello che si è riempito in precedenza. Anche in questo caso la soddisfazione apparterrebbe alla “propria mano aggressiva” (Perls, Hefferline, Goodman, 1997, pag. 261), mano che nel caso specifico è doppiamente aggressiva, perché prima riempie in modo doloroso e poi, in modo altrettanto doloroso, o forse più, svuota. Tutto il processo provocherebbe nel soggetto un sentimento di frustrazione, che comunque non gli impedirebbe di assumere atteggiamenti provocatori (libidinosi) verso il prossimo e di mantenere una vita lavorativa, e sessuale, attiva e non priva di gratificazioni (Kaplan, Sadock, 2001). L’egotismo nella Bulimia Nervosa “L’egotismo è un tentato annientamento dell’elemento incontrollabile” (Perls, Hefferline, Goodman, 1997, pag. 261), nel caso della Bulimia Nervosa l’elemento incontrollabile è rappresentato dal campo, campo che durante le abbuffate verrebbe inglobato nel soggetto in modo ingovernabile, con la totale perdita di autocontrollo. La soddisfazione diretta consisterebbe nel circoscrivere gli atteggiamenti ormai consolidati e abitudinari, abbuffata e successivi pratiche compensatorie, per “regolare la quantità della spontaneità. Ogni esercizio di questo tipo di controllo deliberato alimenta la sua vanità (e il suo disprezzo nel confronto del mondo)” (Perls, Hefferline, Goodman, 1997, pag. 262). In altre parole, ogni qualvolta il bulimico mette in pratica il ciclo abbuffata metodi compensatori, tenderebbe ad isolarsi dal mondo, ad odiarlo, ad odiare soprattutto quelle figure che hanno contribuito alla creazione del suo comportamento. A lungo andare la poca quantità di consapevolezza di sé, che ancora sarà presente, risulterà essere sufficiente per non fare al proprio Io delle richieste impossibili, trasformando il soggetto bulimico in una “personalità libera” (Perls, Hefferline, Goodman, 1997, pag. 262), tutto sommato ben adattata al campo (Perls, Hefferline, Goodman, 1997).
Psicoterapia della Gestalt nella Bulimia Nervosa
Psicoterapia della Gestalt nella Bulimia Nervosa Il DSM-IV (APA, 1994) riporta tra le varie cause che determinano la Bulimia Nervosa gli episodi di abbuffate che si verificano con la sensazione di perdere il controllo e uno scarso livello di autostima influenzato dal peso e dalla forma del corpo. È possibile valutare questo criterio diagnostico secondo l’ottica gestaltica, analizzando le interruzioni del ciclo di contatto (le resistenze) e come queste vengono attuate dai soggetti affetti da Bulimia Nervosa. Tale criterio diagnostico, che tra tutti quelli riportati dai due manuali diagnostici è il più psicologico (infatti nell’ICD-10 (OMS, 1993) i criteri diagnostici riportati sono prettamente di tipo medico. La confluenza nella Bulimia nervosa La confluenza, impedendo il confronto sociale e il contatto autentico con l’ambiente per l’assenza del confine di contatto, fa in modo che il sé perda la propria identità, è possibile allora che il paziente bulimico provi questa mancanza del sé e della propria identità (Righetti, 2005a) e per compensarla inizi ad ingoiare tutto ciò che trova, con la speranza di poter ripristinare ciò che in quel particolare momento di dolore, di frustrazione, o di abbandono alle proprie emozioni ingestibili, è andato perduto o risulta mancante. E’ come se, nella confluenza, il soggetto sentendosi completamente invaso dall’ambiente diventasse un tutt’uno con quest’ultimo; questa “fusione”, che porta ad una mancanza di consapevolezza, impedirebbe al soggetto di riconquistare il confine di contatto, non riuscendo a “ritrovare la sua identità personale contrassegnata dalla singolarità e dalla differenza” (Ginger, 2004, pag. 143). Questa resistenza potrebbe altresì svilupparsi a causa dell’evitamento del ricordo (Giusti, Rosa, 2002); essa potrebbe insorgere dopo esperienze sociali negative, che hanno visto il soggetto rifiutato dai famigliari o dai suoi pari (Minuchin, Rosman, Baker, 1980; Vandereycken, 1998), dal momento che il ricordo di questi momenti rinnoverebbe la sofferenza che comporterebbe l’insorgenza di un’ansia molto forte, il suo evitamento interromperà la continuità dell’esperienza dolorosa (Giusti, Rosa, 40 2002) lasciando però il soggetto bulimico in una condizione di stallo tra l’esperienza di contatto finale e il conseguente ritiro, cioè l’elaborazione del dolore, e il non contatto con il conseguente mancato ritiro. La condizione di non ritiro diverrebbe uno stato cronico, in cui mancherebbe la differenziazione tra il sé e l’ambiente (Giusti, Rosa, 2002), che provocherebbe il ciclo abbuffata-metodi compensatori nella speranza di ritrovare ciò che si è smarrito nel campo.L’introiezione nella Bulimia Nervosa L’introiezione “avviene durante l’eccitazione, per una abituale inibizione al bisogno. L’organismo ha incorporato degli ‹‹oggetti›› appartenenti all’ambiente; questi apprendimenti impediscono o distorcono la consapevolezza e l’orientamento”. Allora “l’organismo non è in grado di concentrarsi sulla sua esigenza, ha paura di andare nel vuoto” (Righetti, 2005a, pag. 42). In altre parole, accade che il soggetto bulimico verrebbe sorpreso da un bisogno immediato ed impellente: essere riconosciuto dalla società; non riuscendo a soddisfarlo, andrebbe alla ricerca di qualcosa che possa soddisfare questo incremento repentino dell’eccitazione che provoca un sentimento frustrante di vuoto, che trova sollievo nel cibo; durante l’abbuffata, l’assunzione di grande quantità di cibo in poco tempo il cui scopo reale sembra essere il riempimento del sentimento di vuoto provato, il soggetto perde la consapevolezza di quello che sta facendo; in questa fase la velocità di introiezione è talmente elevata che, anche a causa della gran quantità di oggetti (cibo) assunti non è possibile una corretta masticazione (distruzione e destrutturazione), impedendo di distinguere tra gli oggetti buoni e quelli cattivi, bloccandone l’assimilazione. In questo caso l’introiezione diverrebbe patologica poiché tutto, idee e principi sociali compresi, verrebbe “inghiottito” quasi per intero. Lo scopo finale dell’ introiezione bulimica sembra quasi essere quello di cercare di mantenere o aumentare la propria autostima attraverso l’introiezione dei più svariati e numerosi oggetti esterni. “In modo nevrotico colui che introietta viene a patti con il proprio appetito frustrato” (Perls, Hefferline, Goodman, 1997, pag. 257), il quale sembra da un lato chiedere di voler dimagrire per essere socialmente accettato, dall’altro però, forse il suo lato vero, vuole essere accettato per quello che è, senza dover cambiare. Ne deriverebbe una soddisfazione masochistica che, come nel caso dell’Anoressia Nervosa, consiste nell’adattare nel modo più creativo possibile l’esigenza ambientale (essere magri per piacere), alla propria esigenza personale (essere riconosciuti per quello che si è), tale adattamento si verifica con il vomito autoindotto, il digiuno forzato per alcuni giorni e l’assunzione spontaneo di purganti o prodotti diuretici. La proiezione nella Bulimia Nervosa Per i soggetti bulimici la proiezione assume una valenza invasiva per il mondo esterno, attribuendovi parte di sé e parte della propria energia che risulta essere in eccesso. Infatti se durante l’abbuffata viene sperimentata la sensazione di perdita di controllo, nei momenti immediatamente successivi, l’individuo cerca di ripristinare l’energia, dissipando, in vario modo, quella in più che ha accumulato. La posizione iniziale di ambiente che contiene e che entra in contatto con l’organismo viene ribaltata, ora è l’organismo che dà all’ambiente i propri contenuti (non viene utilizzato il termine ridare perché gli oggetti non vengono restituiti nella stessa forma in cui vengono introiettati inizialmente, ma essi sono restituiti modificati nella forma e in parte nella sostanza), infatti il vomito indotto volontariamente sembra essere una manifestazione di protesta verso tutti quelli che non l’hanno accettato e non lo sanno accettare così com’è . In tutto questo circuito vizioso, fatto di abbuffate e repentini “svuotamenti”, si può osservare la volontà del soggetto bulimico di uniformarsi con il resto della società, ma anche la ricerca del mantenimento della propria individualità, di essere voluti e apprezzati per come si è, anche brutti, ciò che egli restituisce al mondo infatti non rappresenta la sua parte migliore. La retroflessione nella Bulimia Nervosa La retroflessione oltre a inibire la capacità di fronteggiare le ostilità ambientali, permette di riformare se stessi, correggendo un approccio sbagliato al campo (Perls, Hefferline, Goodman, 1997). Il vomito autoindotto è una prassi presente anche nell’Anoressia Nervosa. La differenza principale è che negli episodi bulimici la pratica viene espletata per eliminare tutto quello che viene assunto in più, mentre negli episodi anoressici il vomito viene causato per svuotare ed eliminare quello che non c’è. Nel caso proprio della Bulimia Nervosa l’approccio sbagliato, l’errore, può essere identificato nella volontà di voler essere esattamente come gli altri ci vorrebbero, il che conduce all’abbuffata iniziale. In seguito, la persona bulimica, accorgendosi che questa sua credenza è erronea e comprendendo che il comportamento attuato è sbagliato, cerca di annullarlo. L’unica maniera, la più immediata che trova, è dunque quella di auto-provocarsi il vomito. La soddisfazione del soggetto bulimico che retroflette consiste nella pulsione erotica deviata che il soggetto si procura. Nella Bulimia Nervosa si presentano due forme di violenza verso il proprio corpo: la prima sarebbe rappresentata dall’abbuffata, lo riempire senza criterio fino a scoppiare; la seconda invece consisterebbe nello svuotare quello che si è riempito in precedenza. Anche in questo caso la soddisfazione apparterrebbe alla “propria mano aggressiva” (Perls, Hefferline, Goodman, 1997, pag. 261), mano che nel caso specifico è doppiamente aggressiva, perché prima riempie in modo doloroso e poi, in modo altrettanto doloroso, o forse più, svuota. Tutto il processo provocherebbe nel soggetto un sentimento di frustrazione, che comunque non gli impedirebbe di assumere atteggiamenti provocatori (libidinosi) verso il prossimo e di mantenere una vita lavorativa, e sessuale, attiva e non priva di gratificazioni (Kaplan, Sadock, 2001). L’egotismo nella Bulimia Nervosa “L’egotismo è un tentato annientamento dell’elemento incontrollabile” (Perls, Hefferline, Goodman, 1997, pag. 261), nel caso della Bulimia Nervosa l’elemento incontrollabile è rappresentato dal campo, campo che durante le abbuffate verrebbe inglobato nel soggetto in modo ingovernabile, con la totale perdita di autocontrollo. La soddisfazione diretta consisterebbe nel circoscrivere gli atteggiamenti ormai consolidati e abitudinari, abbuffata e successivi pratiche compensatorie, per “regolare la quantità della spontaneità. Ogni esercizio di questo tipo di controllo deliberato alimenta la sua vanità (e il suo disprezzo nel confronto del mondo)” (Perls, Hefferline, Goodman, 1997, pag. 262). In altre parole, ogni qualvolta il bulimico mette in pratica il ciclo abbuffata metodi compensatori, tenderebbe ad isolarsi dal mondo, ad odiarlo, ad odiare soprattutto quelle figure che hanno contribuito alla creazione del suo comportamento. A lungo andare la poca quantità di consapevolezza di sé, che ancora sarà presente, risulterà essere sufficiente per non fare al proprio Io delle richieste impossibili, trasformando il soggetto bulimico in una “personalità libera” (Perls, Hefferline, Goodman, 1997, pag. 262), tutto sommato ben adattata al campo (Perls, Hefferline, Goodman, 1997).
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Disturbo da Alimentazione incontrollata
Il disturbo da alimentazione incontrollata (in inglese BED: Binge Eating Disorder) è stato descritto per la prima volta da Stunkard nel 1959. Molti autori tuttavia non lo considerano un disturbo distinto, ma un sintomo associato all’obesità, oppure una variante della Bulimia Nervosa. Epidemiologia L’epidemiologia di questo disturbo non è del tutto conosciuta: si stima che esso riguardi una percentuale tra 7 e 10% di coloro che richiedono un trattamento per obesità, il 5% dei pazienti obesi in generale e il 3% della popolazione generale. Il disturbo insorge nella tarda adolescenza o all’inizio dell’età adulta. Spesso segue una dieta dimagrante che ha determinato una notevole perdita di peso. I sintomi I sintomi del disturbo da alimentazione incontrollata sono molto simili a quelli della bulimia nervosa: - Presenza di abbuffate ricorrenti; - Le abbuffate sono associate ad almeno tre dei seguenti elementi: Mangiare molto più velocemente del normale Mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni Mangiare molto cibo pur non avendo fame Mangiare da soli Provare sensazioni di disgusto verso di sé, sensi di colpa o depressione dopo l’abbuffata - L’individuo prova sofferenza a causa dell’abbuffata; - Dopo l’abbuffata l’individuo non ricorre, come nella bulimia, a condotte di eliminazione o di compensazione (come vomito, lassativi, attività fisica ecc.) Dunque in questo disturbo non sono presenti diete restrittive, comportamenti compensatori e non è attibuito un valore eccessivo alla magrezza e alla paura di ingrassare come avviene negli individui con anoressia e bulimia. Inoltre i pazienti con questo disturbo consumano una maggiore quantità di cibo sia durante le abbuffate che nella normale alimentazione. Anche se ci sono aspetti differenti tra i vari tipi di disturbi alimentari (anoressia, bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata e altri), è stato osservato, nella storia clinica di questi pazienti, che spesso i sintomi si alternano, per cui ad esempio un paziente può manifestare prima anoressia, poi disturbo da alimentazione incontrollata, poi bulimia, entrando in un circolo vizioso, finchè non chiede aiuto ad uno specialista, ed inizia il suo percorso verso la guarigione. La zona spazio-temporale del noto “qui e ora” si riferisce all’intero campo dell’ambiente della persona in ogni particolare momento, comprendendo fantasie e progetti sul futuro e memorie o esperienze del passato, rivissute nella freschezza dell’”ora”. Lo” spazio di vita” della persona costituisce la zona del “la ed ora”, che riguarda l’esistenza corrente della persona – la sua vita reale – sia all’interno del setting terapeutico sia al di fuori di esso. La zona del “qui e allora”, il contesto terapeutico, che si riferisce in particolare alla centralità della relazione terapeutica, alla sua continuità ed alla sua storia, come pure ad altri contesti che possono influenzare questa relazione. La quarta zona spazio-temporale è il “la ed allora”, la storia di vita del paziente, senza la quale non si può apprezzare il modo in cui una persona si è sviluppata nel corso del tempo. Si tratta del retroterra storico dal quale può emergere il senso, la “sequenza dei precedenti momenti di esperienza”. La maggior parte dei gestaltisti moderni riconosce che il passato è veramente intrinseco al presente, e che il movimento attraverso il tempo è inseparabile da una teoria del processo. Vivere nel presente equivale a mantenere il senso della realtà. Il passato non è più e il futuro non è ancora.Il presente favorisce l’impatto, il contatto più diretto e immediato con la vita, le cose, le emozioni. Le dimensioni del passato e del futuro se non utilizzate adeguatamente sono spesso un modo per collocare lontano da noi situazioni ed esperienze, eludendo così un confronto diretto. Stare nel presente vuol dire dunque essere disposti ad assumersi le responsabilità di azioni e reazioni, intese come abilità a rispondere a determinate situazioni adottando scelte e strategie che ci danno la possibilità di muoverci su un altro piano, verso un’altra esperienza, creativa, pur consapevoli della possibilità di incorrere in errori. Vivere nel presente dovrebbe essere la condizione “fisiologica” dell’essere umano. Quando questo non accade un percorso di recupero della propria consapevolezza potrebbe essere una buona indicazione. In un percorso di terapia individuale il terapeuta Gestaltico porta il paziente a vivere il qui ed ora non ricercando spiegazioni o interpretazioni di tipo analitico la solo facilitando la presa di coscienza di ciò che mantiene in essere il disagio e le difficoltà. La terapia diventa un percorso autoprodotto in cui il terapeuta accompagna nel processo di consapevolezza, di crescita e di evoluzione. Non chiede perché la persona agisce o sente una determinata cosa. Si occupa invece di cosa fa e soprattutto di come si esiste nel mondo. La persona viene accompagnata a rivedere i propri schemi rigidi e a ri-sperimentare al presente le esperienze passate e quindi a completarle, trasformarle e finalmente chiuderle. Si invita ad un cambio di forma dei contenuti. La zona spazio-temporale del noto “qui e ora” si riferisce all’intero campo dell’ambiente della persona in ogni particolare momento, comprendendo fantasie e progetti sul futuro e memorie o esperienze del passato, rivissute nella freschezza dell’”ora”.
Lo” spazio di vita” della persona costituisce la zona del “la ed ora”, che riguarda l’esistenza corrente della persona – la sua vita reale – sia all’interno del setting terapeutico sia al di fuori di esso. La zona del “qui e allora”, il contesto terapeutico, che si riferisce in particolare alla centralità della relazione terapeutica, alla sua continuità ed alla sua storia, come pure ad altri contesti che possono influenzare questa relazione. La quarta zona spazio-temporale è il “la ed allora”, la storia di vita del paziente, senza la quale non si può apprezzare il modo in cui una persona si è sviluppata nel corso del tempo. Si tratta del retroterra storico dal quale può emergere il senso, la “sequenza dei precedenti momenti di esperienza”. La maggior parte dei gestaltisti moderni riconosce che il passato è veramente intrinseco al presente, e che il movimento attraverso il tempo è inseparabile da una teoria del processo. Vivere nel presente equivale a mantenere il senso della realtà. Il passato non è più e il futuro non è ancora.Il presente favorisce l’impatto, il contatto più diretto e immediato con la vita, le cose, le emozioni. Le dimensioni del passato e del futuro se non utilizzate adeguatamente sono spesso un modo per collocare lontano da noi situazioni ed esperienze, eludendo così un confronto diretto. Stare nel presente vuol dire dunque essere disposti ad assumersi le responsabilità di azioni e reazioni, intese come abilità a rispondere a determinate situazioni adottando scelte e strategie che ci danno la possibilità di muoverci su un altro piano, verso un’altra esperienza, creativa, pur consapevoli della possibilità di incorrere in errori. Vivere nel presente dovrebbe essere la condizione “fisiologica” dell’essere umano. Quando questo non accade un percorso di recupero della propria consapevolezza potrebbe essere una buona indicazione. In un percorso di terapia individuale il terapeuta Gestaltico porta il paziente a vivere il qui ed ora non ricercando spiegazioni o interpretazioni di tipo analitico la solo facilitando la presa di coscienza di ciò che mantiene in essere il disagio e le difficoltà. La terapia diventa un percorso autoprodotto in cui il terapeuta accompagna nel processo di consapevolezza, di crescita e di evoluzione. Non chiede perché la persona agisce o sente una determinata cosa. Si occupa invece di cosa fa e soprattutto di come si esiste nel mondo. La persona viene accompagnata a rivedere i propri schemi rigidi e a ri-sperimentare al presente le esperienze passate e quindi a completarle, trasformarle e finalmente chiuderle. Si invita ad un cambio di forma dei contenuti. |
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