La Terapia di Gruppo si sviluppa nel corso del 1900, secolo in cui si susseguirono esperienze in ambiti diversi (medico, psichiatrico, psicoterapeutico). Ancora oggi questo tipo di Terapia può essere applicata in modo diverso e con scopi differenti, a seconda dell'orientamento o scuola del Terapeuta. Ci sono per esempio i gruppi di Arteterapia, di Psicodramma, Gruppi di Analisi Transazionale, Sistemico Relazionali, Cognitivo Comportamentali.
Il Gruppo. La Terapia di Gruppo è un tipo di terapia particolare, in cui si utilizzano tecniche e strumenti specifici per il gruppo. All'interno si instaurano dinamiche singolari che, in genere, rendono le persone particolarmente ricettive e libere nell'esprimersi.
Rispetto al tradizionale rapporto Paziente-Terapeuta, questo modello si arricchisce di un terzo elemento, il “Gruppo” appunto, che può aiutare nel fare luce su certe dinamiche della personalità, soprattutto nelle relazioni con gli altri. Può offrire un ulteriore sguardo o punto di vista su quanto emerge in terapia.
Per il trattamento di alcuni disturbi o con alcune persone può rivelarsi più efficace della terapia individuale, così come può avvenire il contrario.
I gruppi possono essere di tipo supportivo, come i gruppi di aiuto e di sostegno fra pari, e di tipo espressivo/elaborativo, in cui fare emergere contenuti su cui soffermarsi insieme a un Terapeuta.
Il "gruppo" diventa, attraverso la psicoterapia, un luogo terapeutico: cioè un contesto di incontro tra persone, definito da tempo, spazi e modalità di relazione, in cui ogni partecipante può parlare di sé o ascoltare gli altri, può gettare in mezzo nello spazio comune reale e simbolico interno del gruppo - in molti gruppi si sta seduti in circolo - ansie, sentimenti, storie, vissuti senza il pericolo di essere giudicato. Le caratteristiche del setting terapeutico non sono riproducibili al di fuori di questo: "il gruppo appartiene ad una categoria di strumenti, che potremo definire strumenti-relazione, i quali non possono essere pensati come esistenti indipendentemente dal loro uso". (Carl, Paniccia, Lancia, 1988).
Le nuove psicoterapie di gruppo - soprattutto quelle ad indirizzo umanistico-esistenziale - si differenziano notevolmente dalla cristallizzata prassi psicoanalitica per due aspetti fondamentali. In primo luogo le nuove terapie escono dal modello tradizionale medico-paziente e creano un nuovo modello che è al tempo stesso psicologico e sociale. In secondo luogo l'obiettivo di questi gruppi non è più solo quello di curare o guarire i pazienti, ma diventa anche quello di apprendere qualcosa su di sé o di accrescere la propria personalità: la normalità entra così nelle stanze della terapia. Anche lo stile di conduzione del terapeuta cambia: da un atteggiamento indagatorio e di recupero archeologico, come dice Foucault, tipico dello psicoanalista freudiano si passa ad una relazione collaborativa basata sulla franchezza e ricettività.
L'allargamento del setting ha desacralizzato una prassi: occorre comunque ribadire che senza psicoanalisi non ci sarebbero state neppure le psicoterapie di gruppo. La stessa origine della psicoanalisi è indissolubilmente legata al nome di Sigmund Freud, mentre "l'invenzione della psicoterapia di gruppo benché sia rivendicata da varie persone, sembra" ovvio che non sia stata una singola grande mente a crearla.
La Psicoterapia della Gestalt con i gruppi.
"La differenza tra la terapia gestaltica e la maggior parte degli altri tipi di psicoterapia è in sostanza che noi non analizziamo nulla. Noi integriamo. Quel che cerchiamo di evitare è precisamente il vecchio errore di confondere la comprensione con la spiegazione. Se spieghiamo, se interpretiamo, questo può essere senz'altro un giuoco intellettuale interessantissimo, ma è sempre un'attività sostitutiva, e un'attività sostitutiva è peggio che non far niente". (Perls, 1969).
L'uomo civilizzato del ventesimo secolo è tutto nella testa: è profondamente distaccato dalla realtà, tutto teso a interpretare - in senso letterale: "negoziare il valore" - ciò che gli accade intorno, rispondendo, poi, alle sollecitazioni dell'ambiente con fantasie, fughe in avanti o indietro, evitamenti o sostitutivi.
La Psicoterapia della Gestalt risponde così all'esigenza di uscire dalla testa e di riappropriarsi di tutte quelle facoltà umane che nel processo di depersonalizzazione della società occidentale avevano perso d'importanza.
L'obiettivo della terapia gestaltica formulata da Perls, Hefferline e Goodman è quello di riportare le persone a sentirsi attraverso il "riconoscimento" delle proprie sensazioni corporee (ed ancora prima quello di essere un corpo!); di come ognuno di noi contatta l'ambiente: per esempio con il proprio modo di respirare; attraverso l'espressione delle proprie emozioni: di gioia, di dolore, di noia, di attesa, di paura etc...; attraverso la consapevolezza dei propri bisogni e del personale modo di essere nel mondo e in relazione con gli altri.
Nel qui dell'incontro terapeutico e nell'adesso del tempo vissuto insieme, c'è la possibilità di ri-prendere consapevolezza sul modo di interrompere il contatto con le altre persone, ritornando nel presente sulla stessa empasse del passato (e qui sta la differenza più eclatante con la prassi psicoanalitica tutta incentrata sul là ed allora); ed anche esplicitare il significato personale dei propri comportamenti (più o meno consapevoli) inserendoli nella storia e nella narrazione dei vissuti dell'individuo.
Lo stare nel qui ed ora così come si è avviene nelle sedute di psicoterapia della Gestalt non solo attraverso le parole - spesso complici, giustificatorie o ridondanti: aboutismo dicono i Polster - ma attraverso una visione olistica della persona in cui rientrano le posture, i gesti, la mimica, il tono della voce e tanti altri segnali che spesso rappresentano in modo più efficace, rispetto alla parola, la persona.
Nella terapia della Gestalt si cerca di giungere ad una integrazione dei diversi livelli dell'esperienza umana - cognitiva, corporea, sensoria, emotiva, immaginativa - senza privilegiarne qualcuno in particolare (come per esempio nella bioenergetica è il corpo sempre in figura).
Anche a livello teorico la Gestalt-Therapy integra in sé apporti provenienti da varie correnti di pensiero: dalla fenomenologia, alla autoregolazione dell'organismo di Goldstein, alla individuazione personale di Rank, all'esistenzialismo, lo psicodramma di Moreno, gli influssi di Reich etc.
Con questa ricchezza la terapia della Gestalt si affaccia sulla società nordamericana degli anni '50 e si presenta tra le altre nuove psicoterapie come quella che ha in sé più possibilità di sviluppi futuri. Ed è proprio attraverso la terapia con i gruppi che la Gestalt ha la sua maggiore espansione e viene conosciuta da tantissime persone. Ma al termine psicoterapia di gruppo di Fritz Perls preferisce quello di esercitazione: infatti le sue dimostrazioni pubbliche, che resero così famoso il metodo gestaltico - soprattutto con l'esperienza di Esalen - non possono certo definirsi psicoterapie per la mancanza di continuità e quindi di un rapporto duraturo tra terapeuta e paziente.
Perls, di formazione psicoanalitica e sposato con Laura Polsner psicologa della Gestalt, dopo un lungo vagabondare sia geografico (dalla Germania al Sud-Africa, agli Stati Uniti, al Canadà), che culturale dove incontra molti eminenti terapeuti da cui prende in prestito concetti e tecniche, arriva a definire un metodo di fare terapia in gruppo. Così lo descrive James Simkin: "in una situazione di gruppo l'interazione si estende a più di due persone e il processo interattivo avviene tra diverse persone, oppure tra due persone e ciascuno dei partecipanti che entra nel processo quando si sente pronto a farlo. Nella terapia della Gestalt non è necessario evidenziare le dinamiche di gruppo, sebbene alcuni terapisti della Gestalt lo facciano". (Simkin, 1975).
Tale affermazione è paradossale: parlare di terapia di gruppo e non occuparsi delle dinamiche che si muovono al suo interno; e tutto sommato è stato scritto pochissimo (in rapporto al ruolo che ha svolto il gruppo per la terapia gestaltica) sia da Fritz Perls che da altri autori della Gestalt sul gruppo - anche i Polster nel loro libro Terapia della Gestalt Integrata dedicano solo le ultime pagine alle modalità di lavoro e alle dinamiche con i gruppi - che invece si sono molto focalizzati sul rapporto e sul processo tra cliente e terapeuta.
Il gruppo può essere considerato come un individuo in cui i membri sono le sue parti costituenti: tale affermazione è speculare a quella che considera l'individuo come un gruppo: quando lavorare con un individuo ci troviamo a fare terapia di gruppo, nella misura in cui sono compresenti multipolarità e bisogni talora contrapposti. - Tra i membri di un piccolo gruppo girano emozioni e stati d'animo che lo orientano e lo influenzano: ogni gruppo terapeutico ha la sua diversa caratura e tonalità affettiva determinata sia dalle esperienze di provenienza dei membri, ma anche da qualcosa di meno definito come il clima del gruppo stesso, dal tipo di comunicazione utilizzato, dal processo individuale e gruppale.
L'esperienza dentro un gruppo di Gestalt richiama: un senso di calore, di tepore benefico e rilassante, un clima uterino in cui tutto ciò che accade non è pericoloso.
Anche un'immagine può visualizzare lo stare nel gruppo: mi sembra di camminare attraverso una stanza con tanti specchi - come ce ne sono nei luna-park - ed ogni specchio mi rimanda un aspetto di me che prima non vedevo (per esempio il vuoto di capelli sulla nuca!), che non conosco, che non accetto, che piacevolmente mi sorprende, che mi fa paura!
Queste due metafore introducono i due elementi portanti per la terapia della Gestalt: la sicurezza o il sostegno e l'esperimento. Lo sperimentare, nel luogo sicuro della terapia, nuove possibilità del sé, rappresenta l'obiettivo principale per la psicoterapia della Gestalt: "nel nostro lavoro cerchiamo di creare possibilità in cui l'individuo da un lato si sperimenti in contatto con, dall'altro si riconosca come colui che ha esperito. Egli può in tal modo aggredire solo gli elementi che vuole introiettare nel Sé, abbandonando nell'ambiente tutto ciò che attualmente non gli appartiene". Attraverso un lungo viaggio di differenziazione del vecchio modo di autopercepirsi e di proporsi nel mondo, l'individuo può arrivare ad integrare, o a far coesistere, aspetti di sé, o i diversi Sé come dice Erving Polster, che erano stati abbandonati, derisi, ritenuti inadeguati dal soggetto o da altri importanti per lui.
Ma il processo che porta a queste nuove consapevolezze, quel processo che come dice Perls va dal sostegno ambientale all'autosostegno, è tutt'altro che lineare ed è semplicistico considerare possibile che ognuno può diventare ciò che vuole, poiché in realtà ci sono caratteristiche predominanti che orientano il nostro essere nel mondo.
Nella teorizzazione di Goodman - ed anche nella pratica di Perls tutta incentrata sulla consapevolezza istantanea - il Sé è "il complesso sistema di contatti necessario per l'adattamento in un campo difficile", questo Sé processuale sembra passare di contatto in contatto in una continua "differenziazione tra le risposte obsolete e il comportamento unico e nuovo che è necessario". (Perls, Hefferline, Goodman 1951).
In realtà nel processo terapeutico c'è il tempo e la calma necessaria per ritornare più e più volte sulla stessa Gestalt incompiuta. L'individuo ripete il ruolo stereotipato - di debole oppure di seduttore o di antipatico - che perlomeno gli dà un'identità! - ruolo non più aggiornato, relativo ad un vecchio contratto con se stesso e con gli altri - devo essere un bravo bambino! per esempio - cercando di assomigliare ad una scolorita immagine di eroe che ormai non serve più.
La terapia della Gestalt introduce l'emergenza in un luogo sicuro: l'individuo, con il sostegno del terapeuta e del gruppo, si può sperimentare nella scoperta di un nuovo - o forse antico! - SE' con eccitazione ed ansia.
Le chiosature intorno ad una tematica della propria vita - per esempio la difficoltà di rapporto con il padre è molto diffusa tra i tossicodipendenti - sulla quale l'individuo continua a cercare risposte senza trovarne soddisfazione (come quei relé elettrici malfunzionanti che non chiudono il circuito e continuano a dare l'impulso), portano a sondare tutte le sfaccettature del problema, ad esplorare la tematica individuata nelle diverse funzioni di contatto e nei cinque livelli dell'esperienza: fino a saturare la tematica, a costruire un ponte tra presente e passato, permettendogli così di superare o ammorbidire l'empasse iniziale. La persona può così scoprire anche l'altra polarità, cioè gli elementi creativi prima bloccati nella fissazione nevrotica.
La figura del padre, per riprendere l'esempio, viene ampiamente rivalutata dopo un percorso di Comunità dal ragazzo ex-tossicodipendente e proprio il padre viene ricercato per chiedergli consigli, per parlare con lui, per sentirlo più vicino. Il cambiamento, inoltre, in un'area del Sé - rapporto con il padre - modifica anche altre aree ad essa connesse - per esempio il rapporto con il maschile e di conseguenza con il femminile. L'emergenza cronica di basso livello si è ora tramutata in una nuova possibilità: il SE' ha acquisito altre varietà: nello sfondo può rientrare una figura piena e definita.
Nella terapia di gruppo, ancor più che in quella individuale, è possibile far sperimentare al soggetto nuove possibilità: sia attraverso l'uso di tecniche - amplificazione del sintomo o agire la polarità opposta - sia attraverso quella pressione di gruppo che avevo citato sopra. Nel gruppo l'individuo può avere a disposizione elementi di contatto che mancano nella terapia individuale: per esempio la tecnica della sedia vuota può trasformarsi nell'incontro reale con una persona su cui il soggetto proietta interruzioni e paure. Il blocco intrapsichico può portare ad una relazione interpersonale con elementi vivificanti di un incontro - anche con i rischi di dinamiche laterali che si innescano.
Il gruppo risponde anche a quella funzione fondamentale dentro e fuori le stanze della psicoterapia: il riconoscimento.
Il soggetto può essere visto, ascoltato, toccato, lì davanti a tutti, lui si sente ridicolo o fa commuovere tutti con le esperienze: è lì con la sua profonda dignità umana davanti al gruppo che rappresenta il mondo.
Nel gruppo terapeutico si intrecciano i processi individuali dei membri e il processo collettivo del gruppo come entità che ha una propria storia.
Il macroprocesso individuale è stato descritto da Fritz Perls nei cinque livelli: dei cliché, dei ruoli, dell'empasse, di morte, di vita; Miriam Polster ha descritto quattro fasi della sequenza terapeutica individuale: scoperta, adattamento, assimilazione, integrazione. Miriam ed Erving Polster hanno poi definito il microprocesso individuale attraverso i tre momenti: consapevolezza, contatto, esperimento.
Anche il gruppo attraversa un processo costituito di varie fasi e passaggi. Quattro mementi ritengo si susseguano nel processo gruppale: conoscenza, confluenza, aggressività, differenziazione. Queste quattro fasi le ho desunte sia dalla mia esperienza come studente ed anche da quella di conduttore di gruppi di tossicomani.
Il gruppo passa da una fase in cui c'è una forte intensità emotiva e molti scambi interpersonali di esperienze che portano a condividere, ad un momento successivo in cui il concetto di sé dei partecipanti diviene più reale.
E' importante, inoltre, che sia il terapeuta che i membri del gruppo sentano una crescita, una modificazione degli stereotipi iniziali e se ciò non avviene probabilmente ci sono dei blocchi a livello di relazioni interpersonali che incistano la patologia: c'è qualcosa che non va cambiato altrimenti c'è un'angoscia che non trova compensazione (come nelle famiglie dove ci sono problematiche psicotiche o tossicomaniche).
C'è poi un ciclo del gruppo che si realizza in ogni seduta terapeutica attraverso i lavori individuali o di gruppo. Nel microprocesso di gruppo c'è un tema che inizia e poi prende corpo ed ha una sua evoluzione che si snoda, durante la seduta, colorandosi di storie, vissuti, emozioni, ricordi.
Il Terapeuta.
La risorsa principale che il paziente trova nella terapia è il terapeuta stesso. Nello spazio transizionale - come direbbe D. Winnicott - della seduta terapeutica ci si scambia vissuti, emozioni, sensazioni: oggetti che costituiscono la materia prima della terapia.
Dal tipo di contatto e dalle modalità di tale relazione tra pazienti con il terapeuta (ed anche con il gruppo, ove c'è), si deduce a che punto è il processo terapeutico e con che tipo di patologia si ha a che fare.
I concetti di transfert e controtransfert psicoanalitici sono stati sostituiti nella terapia della Gestalt con quello meno tecnico e più umano di contatto. Che cosa voglia dire ciò si desume dalle affermazioni di Erving e Miriam Polster che dicono che il terapeuta è strumento stesso di terapia.
Il terapeuta della Gestalt è profondamente presente nella relazione: egli è lì come persona intera e non scinde la sua sensibilità e umanità dalla sua professionalità e l'uso delle tecniche: la tecnica è un trucco, un giuoco di prestigio, che dovrebbe essere utilizzato solo in casi estremi. La Gestalt ha ulteriormente proseguito la strada intrapresa da Carl Rogers con l'empatia: ma il terapeuta della Gestalt può essere anche frustrante, se ciò corrisponde ad un suo sentire, oltre che accettante fino in fondo. Ed è proprio il manifestare se stesso, le sue emozioni, le preoccupazioni (certamente non sempre, ma quando lo ritiene opportuno) e l'utilizzare ciò come elemento di contatto con il cliente che fa procedere la terapia: "quando il terapeuta si inserisce, non solo rende disponibile per il paziente qualcosa che già esiste, ma anche facilita nuove esperienze relative sia alla sua persona che a quella del paziente". (Polster 1973).
Il terapeuta è attento sia a quello che succede davanti a sé (nell'individuo o nel gruppo) sia a ciò che succede dentro di sé, cercando di collegare questi due piani seguendo il paziente nel suo processo.
Non c'è bisogno di spingere il fiume: la modalità di relazione in Gestalt-Therapy è allora quella di presenziare ad un processo in atto costituendo o lo schermo di proiezione per il paziente (soprattutto all'inizio della terapia) o facilitando ciò che sta per succedere - Simkin parla della funzione terapeutica come quella di una levatrice! - ma solo quando la terapia supera l'aspetto tecnicistico e diventa un rapporto umano allora avviene un "incontro tra persone reali, reciprocamente interessate-interessanti" e che "non rappresenta solo un incontro vacuo di fantasmi". (Menditto, Rametta 1980). Ed è proprio l'interesse del terapeuta nei confronti della vita dell'individuo che ha davanti a sé al di là dei ruoli già definiti prima (il paziente si sente tale e sente che non può essere altro che un malato) - che può far decollare la relazione terapeutica e farla uscire da un rapporto come se. L'interesse del terapeuta è speculare alla ripresa di interesse del paziente per se stesso e per gli altri.
Per il terapeuta che lavora con i gruppi c'è una quantità maggiore di inputs da tenere in considerazione rispetto alla terapia individuale - la presenza del coterapeuta serve proprio a raccogliere ciò che si muove nello sfondo - anche se può contare sulle stimolazioni e contributi del gruppo stesso.
Il terapeuta di gruppo deve cercare di far emergere tutte le voci presenti nel gruppo stesso, dando così modo a tutti i presenti di esprimersi (certamente chi lo vuole fare) evitando che qualche membro del gruppo manipoli o monopolizzi per suoi fini esibizionistici o patologici.
Le dinamiche del potere si ripresentano nel gruppo terapeutico come nei gruppi naturali. Ciò accade attraverso una distribuzione dei ruoli più o meno consapevoli - il leader, il capro-espiatorio, accoppiamento, e si presentano nel tipo di rapporto con i terapeuti. Le dinamiche di potere possono essere altamente distruttive ed è compito dei terapeuti di rendere consapevole ciò che a volte funziona in modo automatico.
Il terapeuta può essere affiancato, come ho già detto, da un coterapeuta, sia per esigenze di numero dei partecipanti, o di particolari situazioni nel gruppo. La presenza del co-terapeuta complessifica ancor più la terapia di gruppo e la avvicina, specie con una coppia di terapeuti maschio e femmina, a situazioni già vissute in famiglia o nella realtà quotidiana dai membri del gruppo.
Il Set.
Il set dove si incontra il gruppo terapeutico è un fattore molto importante.
La stanza, il suo arredamento, la luce, la posizione di quadri e suppellettili, sono elementi che fanno parte del sostegno ambientale e che danno nel tempo la continuità (o la non-continuità, se subentrano cambiamenti) e la familiarità del luogo che si frequenta: ed è proprio il sentimento di appartenenza che può sviluppare una progressiva fiducia nei partecipanti.
Un elemento che accomuna i membri di un gruppo di Gestalt è la loro visibilità: ognuno può decidere se parlare o stare zitto ma si è tutti comunque visibili agli occhi degli altri, nel presentarsi come persona con il proprio corpo, il modo di stare insieme agli altri, le posture, il modo di vestire, di gesticolare etc.
Ancora più della descrizione scenica è importante la posizione in cui si lavora: seduti in circolo sulle sedie oppure seduti o sdraiati (a seconda di inibizioni personali!) su materassi e cuscini. La distanza da terra e/o il movimento del corpo per i membri di un gruppo Gestalt è un elemento da tenere in considerazione e sicuramente la posizione sulle sedie favorisce meno un certo rilassamento corporeo, e c'è un minore contatto con il terreno.
Miriam Polster ci ha fatto notare come si colloca la persona nello studio, come si siede, come si inserisce se si costringe in maniera tale da inserirsi nell'ambiente o se si mette in una posizione che è l'ambiente ad accoglierla.
Già dai primissimi minuti della seduta il terapeuta può cogliere tutta una serie di segnali su come ogni individuo nel gruppo aggredisce l'ambiente e utilizza il proprio sistema scheletrico-muscolare, il modo di respirare, se sta vicino o lontano dagli altri, qual'è la distanza dal terapeuta, se è alla ricerca di un contatto fisico, se è un isolato etc.
La scena iniziale (ed in ogni seduta ci sono continuità e differenze) è quindi un set animato, dove la persona attraverso il corpo ed i suoi movimenti lancia frecce - come dice Erving - e così può iniziare la relazione terapeutica.
Il Gruppo. La Terapia di Gruppo è un tipo di terapia particolare, in cui si utilizzano tecniche e strumenti specifici per il gruppo. All'interno si instaurano dinamiche singolari che, in genere, rendono le persone particolarmente ricettive e libere nell'esprimersi.
Rispetto al tradizionale rapporto Paziente-Terapeuta, questo modello si arricchisce di un terzo elemento, il “Gruppo” appunto, che può aiutare nel fare luce su certe dinamiche della personalità, soprattutto nelle relazioni con gli altri. Può offrire un ulteriore sguardo o punto di vista su quanto emerge in terapia.
Per il trattamento di alcuni disturbi o con alcune persone può rivelarsi più efficace della terapia individuale, così come può avvenire il contrario.
I gruppi possono essere di tipo supportivo, come i gruppi di aiuto e di sostegno fra pari, e di tipo espressivo/elaborativo, in cui fare emergere contenuti su cui soffermarsi insieme a un Terapeuta.
Il "gruppo" diventa, attraverso la psicoterapia, un luogo terapeutico: cioè un contesto di incontro tra persone, definito da tempo, spazi e modalità di relazione, in cui ogni partecipante può parlare di sé o ascoltare gli altri, può gettare in mezzo nello spazio comune reale e simbolico interno del gruppo - in molti gruppi si sta seduti in circolo - ansie, sentimenti, storie, vissuti senza il pericolo di essere giudicato. Le caratteristiche del setting terapeutico non sono riproducibili al di fuori di questo: "il gruppo appartiene ad una categoria di strumenti, che potremo definire strumenti-relazione, i quali non possono essere pensati come esistenti indipendentemente dal loro uso". (Carl, Paniccia, Lancia, 1988).
Le nuove psicoterapie di gruppo - soprattutto quelle ad indirizzo umanistico-esistenziale - si differenziano notevolmente dalla cristallizzata prassi psicoanalitica per due aspetti fondamentali. In primo luogo le nuove terapie escono dal modello tradizionale medico-paziente e creano un nuovo modello che è al tempo stesso psicologico e sociale. In secondo luogo l'obiettivo di questi gruppi non è più solo quello di curare o guarire i pazienti, ma diventa anche quello di apprendere qualcosa su di sé o di accrescere la propria personalità: la normalità entra così nelle stanze della terapia. Anche lo stile di conduzione del terapeuta cambia: da un atteggiamento indagatorio e di recupero archeologico, come dice Foucault, tipico dello psicoanalista freudiano si passa ad una relazione collaborativa basata sulla franchezza e ricettività.
L'allargamento del setting ha desacralizzato una prassi: occorre comunque ribadire che senza psicoanalisi non ci sarebbero state neppure le psicoterapie di gruppo. La stessa origine della psicoanalisi è indissolubilmente legata al nome di Sigmund Freud, mentre "l'invenzione della psicoterapia di gruppo benché sia rivendicata da varie persone, sembra" ovvio che non sia stata una singola grande mente a crearla.
La Psicoterapia della Gestalt con i gruppi.
"La differenza tra la terapia gestaltica e la maggior parte degli altri tipi di psicoterapia è in sostanza che noi non analizziamo nulla. Noi integriamo. Quel che cerchiamo di evitare è precisamente il vecchio errore di confondere la comprensione con la spiegazione. Se spieghiamo, se interpretiamo, questo può essere senz'altro un giuoco intellettuale interessantissimo, ma è sempre un'attività sostitutiva, e un'attività sostitutiva è peggio che non far niente". (Perls, 1969).
L'uomo civilizzato del ventesimo secolo è tutto nella testa: è profondamente distaccato dalla realtà, tutto teso a interpretare - in senso letterale: "negoziare il valore" - ciò che gli accade intorno, rispondendo, poi, alle sollecitazioni dell'ambiente con fantasie, fughe in avanti o indietro, evitamenti o sostitutivi.
La Psicoterapia della Gestalt risponde così all'esigenza di uscire dalla testa e di riappropriarsi di tutte quelle facoltà umane che nel processo di depersonalizzazione della società occidentale avevano perso d'importanza.
L'obiettivo della terapia gestaltica formulata da Perls, Hefferline e Goodman è quello di riportare le persone a sentirsi attraverso il "riconoscimento" delle proprie sensazioni corporee (ed ancora prima quello di essere un corpo!); di come ognuno di noi contatta l'ambiente: per esempio con il proprio modo di respirare; attraverso l'espressione delle proprie emozioni: di gioia, di dolore, di noia, di attesa, di paura etc...; attraverso la consapevolezza dei propri bisogni e del personale modo di essere nel mondo e in relazione con gli altri.
Nel qui dell'incontro terapeutico e nell'adesso del tempo vissuto insieme, c'è la possibilità di ri-prendere consapevolezza sul modo di interrompere il contatto con le altre persone, ritornando nel presente sulla stessa empasse del passato (e qui sta la differenza più eclatante con la prassi psicoanalitica tutta incentrata sul là ed allora); ed anche esplicitare il significato personale dei propri comportamenti (più o meno consapevoli) inserendoli nella storia e nella narrazione dei vissuti dell'individuo.
Lo stare nel qui ed ora così come si è avviene nelle sedute di psicoterapia della Gestalt non solo attraverso le parole - spesso complici, giustificatorie o ridondanti: aboutismo dicono i Polster - ma attraverso una visione olistica della persona in cui rientrano le posture, i gesti, la mimica, il tono della voce e tanti altri segnali che spesso rappresentano in modo più efficace, rispetto alla parola, la persona.
Nella terapia della Gestalt si cerca di giungere ad una integrazione dei diversi livelli dell'esperienza umana - cognitiva, corporea, sensoria, emotiva, immaginativa - senza privilegiarne qualcuno in particolare (come per esempio nella bioenergetica è il corpo sempre in figura).
Anche a livello teorico la Gestalt-Therapy integra in sé apporti provenienti da varie correnti di pensiero: dalla fenomenologia, alla autoregolazione dell'organismo di Goldstein, alla individuazione personale di Rank, all'esistenzialismo, lo psicodramma di Moreno, gli influssi di Reich etc.
Con questa ricchezza la terapia della Gestalt si affaccia sulla società nordamericana degli anni '50 e si presenta tra le altre nuove psicoterapie come quella che ha in sé più possibilità di sviluppi futuri. Ed è proprio attraverso la terapia con i gruppi che la Gestalt ha la sua maggiore espansione e viene conosciuta da tantissime persone. Ma al termine psicoterapia di gruppo di Fritz Perls preferisce quello di esercitazione: infatti le sue dimostrazioni pubbliche, che resero così famoso il metodo gestaltico - soprattutto con l'esperienza di Esalen - non possono certo definirsi psicoterapie per la mancanza di continuità e quindi di un rapporto duraturo tra terapeuta e paziente.
Perls, di formazione psicoanalitica e sposato con Laura Polsner psicologa della Gestalt, dopo un lungo vagabondare sia geografico (dalla Germania al Sud-Africa, agli Stati Uniti, al Canadà), che culturale dove incontra molti eminenti terapeuti da cui prende in prestito concetti e tecniche, arriva a definire un metodo di fare terapia in gruppo. Così lo descrive James Simkin: "in una situazione di gruppo l'interazione si estende a più di due persone e il processo interattivo avviene tra diverse persone, oppure tra due persone e ciascuno dei partecipanti che entra nel processo quando si sente pronto a farlo. Nella terapia della Gestalt non è necessario evidenziare le dinamiche di gruppo, sebbene alcuni terapisti della Gestalt lo facciano". (Simkin, 1975).
Tale affermazione è paradossale: parlare di terapia di gruppo e non occuparsi delle dinamiche che si muovono al suo interno; e tutto sommato è stato scritto pochissimo (in rapporto al ruolo che ha svolto il gruppo per la terapia gestaltica) sia da Fritz Perls che da altri autori della Gestalt sul gruppo - anche i Polster nel loro libro Terapia della Gestalt Integrata dedicano solo le ultime pagine alle modalità di lavoro e alle dinamiche con i gruppi - che invece si sono molto focalizzati sul rapporto e sul processo tra cliente e terapeuta.
Il gruppo può essere considerato come un individuo in cui i membri sono le sue parti costituenti: tale affermazione è speculare a quella che considera l'individuo come un gruppo: quando lavorare con un individuo ci troviamo a fare terapia di gruppo, nella misura in cui sono compresenti multipolarità e bisogni talora contrapposti. - Tra i membri di un piccolo gruppo girano emozioni e stati d'animo che lo orientano e lo influenzano: ogni gruppo terapeutico ha la sua diversa caratura e tonalità affettiva determinata sia dalle esperienze di provenienza dei membri, ma anche da qualcosa di meno definito come il clima del gruppo stesso, dal tipo di comunicazione utilizzato, dal processo individuale e gruppale.
L'esperienza dentro un gruppo di Gestalt richiama: un senso di calore, di tepore benefico e rilassante, un clima uterino in cui tutto ciò che accade non è pericoloso.
Anche un'immagine può visualizzare lo stare nel gruppo: mi sembra di camminare attraverso una stanza con tanti specchi - come ce ne sono nei luna-park - ed ogni specchio mi rimanda un aspetto di me che prima non vedevo (per esempio il vuoto di capelli sulla nuca!), che non conosco, che non accetto, che piacevolmente mi sorprende, che mi fa paura!
Queste due metafore introducono i due elementi portanti per la terapia della Gestalt: la sicurezza o il sostegno e l'esperimento. Lo sperimentare, nel luogo sicuro della terapia, nuove possibilità del sé, rappresenta l'obiettivo principale per la psicoterapia della Gestalt: "nel nostro lavoro cerchiamo di creare possibilità in cui l'individuo da un lato si sperimenti in contatto con, dall'altro si riconosca come colui che ha esperito. Egli può in tal modo aggredire solo gli elementi che vuole introiettare nel Sé, abbandonando nell'ambiente tutto ciò che attualmente non gli appartiene". Attraverso un lungo viaggio di differenziazione del vecchio modo di autopercepirsi e di proporsi nel mondo, l'individuo può arrivare ad integrare, o a far coesistere, aspetti di sé, o i diversi Sé come dice Erving Polster, che erano stati abbandonati, derisi, ritenuti inadeguati dal soggetto o da altri importanti per lui.
Ma il processo che porta a queste nuove consapevolezze, quel processo che come dice Perls va dal sostegno ambientale all'autosostegno, è tutt'altro che lineare ed è semplicistico considerare possibile che ognuno può diventare ciò che vuole, poiché in realtà ci sono caratteristiche predominanti che orientano il nostro essere nel mondo.
Nella teorizzazione di Goodman - ed anche nella pratica di Perls tutta incentrata sulla consapevolezza istantanea - il Sé è "il complesso sistema di contatti necessario per l'adattamento in un campo difficile", questo Sé processuale sembra passare di contatto in contatto in una continua "differenziazione tra le risposte obsolete e il comportamento unico e nuovo che è necessario". (Perls, Hefferline, Goodman 1951).
In realtà nel processo terapeutico c'è il tempo e la calma necessaria per ritornare più e più volte sulla stessa Gestalt incompiuta. L'individuo ripete il ruolo stereotipato - di debole oppure di seduttore o di antipatico - che perlomeno gli dà un'identità! - ruolo non più aggiornato, relativo ad un vecchio contratto con se stesso e con gli altri - devo essere un bravo bambino! per esempio - cercando di assomigliare ad una scolorita immagine di eroe che ormai non serve più.
La terapia della Gestalt introduce l'emergenza in un luogo sicuro: l'individuo, con il sostegno del terapeuta e del gruppo, si può sperimentare nella scoperta di un nuovo - o forse antico! - SE' con eccitazione ed ansia.
Le chiosature intorno ad una tematica della propria vita - per esempio la difficoltà di rapporto con il padre è molto diffusa tra i tossicodipendenti - sulla quale l'individuo continua a cercare risposte senza trovarne soddisfazione (come quei relé elettrici malfunzionanti che non chiudono il circuito e continuano a dare l'impulso), portano a sondare tutte le sfaccettature del problema, ad esplorare la tematica individuata nelle diverse funzioni di contatto e nei cinque livelli dell'esperienza: fino a saturare la tematica, a costruire un ponte tra presente e passato, permettendogli così di superare o ammorbidire l'empasse iniziale. La persona può così scoprire anche l'altra polarità, cioè gli elementi creativi prima bloccati nella fissazione nevrotica.
La figura del padre, per riprendere l'esempio, viene ampiamente rivalutata dopo un percorso di Comunità dal ragazzo ex-tossicodipendente e proprio il padre viene ricercato per chiedergli consigli, per parlare con lui, per sentirlo più vicino. Il cambiamento, inoltre, in un'area del Sé - rapporto con il padre - modifica anche altre aree ad essa connesse - per esempio il rapporto con il maschile e di conseguenza con il femminile. L'emergenza cronica di basso livello si è ora tramutata in una nuova possibilità: il SE' ha acquisito altre varietà: nello sfondo può rientrare una figura piena e definita.
Nella terapia di gruppo, ancor più che in quella individuale, è possibile far sperimentare al soggetto nuove possibilità: sia attraverso l'uso di tecniche - amplificazione del sintomo o agire la polarità opposta - sia attraverso quella pressione di gruppo che avevo citato sopra. Nel gruppo l'individuo può avere a disposizione elementi di contatto che mancano nella terapia individuale: per esempio la tecnica della sedia vuota può trasformarsi nell'incontro reale con una persona su cui il soggetto proietta interruzioni e paure. Il blocco intrapsichico può portare ad una relazione interpersonale con elementi vivificanti di un incontro - anche con i rischi di dinamiche laterali che si innescano.
Il gruppo risponde anche a quella funzione fondamentale dentro e fuori le stanze della psicoterapia: il riconoscimento.
Il soggetto può essere visto, ascoltato, toccato, lì davanti a tutti, lui si sente ridicolo o fa commuovere tutti con le esperienze: è lì con la sua profonda dignità umana davanti al gruppo che rappresenta il mondo.
Nel gruppo terapeutico si intrecciano i processi individuali dei membri e il processo collettivo del gruppo come entità che ha una propria storia.
Il macroprocesso individuale è stato descritto da Fritz Perls nei cinque livelli: dei cliché, dei ruoli, dell'empasse, di morte, di vita; Miriam Polster ha descritto quattro fasi della sequenza terapeutica individuale: scoperta, adattamento, assimilazione, integrazione. Miriam ed Erving Polster hanno poi definito il microprocesso individuale attraverso i tre momenti: consapevolezza, contatto, esperimento.
Anche il gruppo attraversa un processo costituito di varie fasi e passaggi. Quattro mementi ritengo si susseguano nel processo gruppale: conoscenza, confluenza, aggressività, differenziazione. Queste quattro fasi le ho desunte sia dalla mia esperienza come studente ed anche da quella di conduttore di gruppi di tossicomani.
Il gruppo passa da una fase in cui c'è una forte intensità emotiva e molti scambi interpersonali di esperienze che portano a condividere, ad un momento successivo in cui il concetto di sé dei partecipanti diviene più reale.
E' importante, inoltre, che sia il terapeuta che i membri del gruppo sentano una crescita, una modificazione degli stereotipi iniziali e se ciò non avviene probabilmente ci sono dei blocchi a livello di relazioni interpersonali che incistano la patologia: c'è qualcosa che non va cambiato altrimenti c'è un'angoscia che non trova compensazione (come nelle famiglie dove ci sono problematiche psicotiche o tossicomaniche).
C'è poi un ciclo del gruppo che si realizza in ogni seduta terapeutica attraverso i lavori individuali o di gruppo. Nel microprocesso di gruppo c'è un tema che inizia e poi prende corpo ed ha una sua evoluzione che si snoda, durante la seduta, colorandosi di storie, vissuti, emozioni, ricordi.
Il Terapeuta.
La risorsa principale che il paziente trova nella terapia è il terapeuta stesso. Nello spazio transizionale - come direbbe D. Winnicott - della seduta terapeutica ci si scambia vissuti, emozioni, sensazioni: oggetti che costituiscono la materia prima della terapia.
Dal tipo di contatto e dalle modalità di tale relazione tra pazienti con il terapeuta (ed anche con il gruppo, ove c'è), si deduce a che punto è il processo terapeutico e con che tipo di patologia si ha a che fare.
I concetti di transfert e controtransfert psicoanalitici sono stati sostituiti nella terapia della Gestalt con quello meno tecnico e più umano di contatto. Che cosa voglia dire ciò si desume dalle affermazioni di Erving e Miriam Polster che dicono che il terapeuta è strumento stesso di terapia.
Il terapeuta della Gestalt è profondamente presente nella relazione: egli è lì come persona intera e non scinde la sua sensibilità e umanità dalla sua professionalità e l'uso delle tecniche: la tecnica è un trucco, un giuoco di prestigio, che dovrebbe essere utilizzato solo in casi estremi. La Gestalt ha ulteriormente proseguito la strada intrapresa da Carl Rogers con l'empatia: ma il terapeuta della Gestalt può essere anche frustrante, se ciò corrisponde ad un suo sentire, oltre che accettante fino in fondo. Ed è proprio il manifestare se stesso, le sue emozioni, le preoccupazioni (certamente non sempre, ma quando lo ritiene opportuno) e l'utilizzare ciò come elemento di contatto con il cliente che fa procedere la terapia: "quando il terapeuta si inserisce, non solo rende disponibile per il paziente qualcosa che già esiste, ma anche facilita nuove esperienze relative sia alla sua persona che a quella del paziente". (Polster 1973).
Il terapeuta è attento sia a quello che succede davanti a sé (nell'individuo o nel gruppo) sia a ciò che succede dentro di sé, cercando di collegare questi due piani seguendo il paziente nel suo processo.
Non c'è bisogno di spingere il fiume: la modalità di relazione in Gestalt-Therapy è allora quella di presenziare ad un processo in atto costituendo o lo schermo di proiezione per il paziente (soprattutto all'inizio della terapia) o facilitando ciò che sta per succedere - Simkin parla della funzione terapeutica come quella di una levatrice! - ma solo quando la terapia supera l'aspetto tecnicistico e diventa un rapporto umano allora avviene un "incontro tra persone reali, reciprocamente interessate-interessanti" e che "non rappresenta solo un incontro vacuo di fantasmi". (Menditto, Rametta 1980). Ed è proprio l'interesse del terapeuta nei confronti della vita dell'individuo che ha davanti a sé al di là dei ruoli già definiti prima (il paziente si sente tale e sente che non può essere altro che un malato) - che può far decollare la relazione terapeutica e farla uscire da un rapporto come se. L'interesse del terapeuta è speculare alla ripresa di interesse del paziente per se stesso e per gli altri.
Per il terapeuta che lavora con i gruppi c'è una quantità maggiore di inputs da tenere in considerazione rispetto alla terapia individuale - la presenza del coterapeuta serve proprio a raccogliere ciò che si muove nello sfondo - anche se può contare sulle stimolazioni e contributi del gruppo stesso.
Il terapeuta di gruppo deve cercare di far emergere tutte le voci presenti nel gruppo stesso, dando così modo a tutti i presenti di esprimersi (certamente chi lo vuole fare) evitando che qualche membro del gruppo manipoli o monopolizzi per suoi fini esibizionistici o patologici.
Le dinamiche del potere si ripresentano nel gruppo terapeutico come nei gruppi naturali. Ciò accade attraverso una distribuzione dei ruoli più o meno consapevoli - il leader, il capro-espiatorio, accoppiamento, e si presentano nel tipo di rapporto con i terapeuti. Le dinamiche di potere possono essere altamente distruttive ed è compito dei terapeuti di rendere consapevole ciò che a volte funziona in modo automatico.
Il terapeuta può essere affiancato, come ho già detto, da un coterapeuta, sia per esigenze di numero dei partecipanti, o di particolari situazioni nel gruppo. La presenza del co-terapeuta complessifica ancor più la terapia di gruppo e la avvicina, specie con una coppia di terapeuti maschio e femmina, a situazioni già vissute in famiglia o nella realtà quotidiana dai membri del gruppo.
Il Set.
Il set dove si incontra il gruppo terapeutico è un fattore molto importante.
La stanza, il suo arredamento, la luce, la posizione di quadri e suppellettili, sono elementi che fanno parte del sostegno ambientale e che danno nel tempo la continuità (o la non-continuità, se subentrano cambiamenti) e la familiarità del luogo che si frequenta: ed è proprio il sentimento di appartenenza che può sviluppare una progressiva fiducia nei partecipanti.
Un elemento che accomuna i membri di un gruppo di Gestalt è la loro visibilità: ognuno può decidere se parlare o stare zitto ma si è tutti comunque visibili agli occhi degli altri, nel presentarsi come persona con il proprio corpo, il modo di stare insieme agli altri, le posture, il modo di vestire, di gesticolare etc.
Ancora più della descrizione scenica è importante la posizione in cui si lavora: seduti in circolo sulle sedie oppure seduti o sdraiati (a seconda di inibizioni personali!) su materassi e cuscini. La distanza da terra e/o il movimento del corpo per i membri di un gruppo Gestalt è un elemento da tenere in considerazione e sicuramente la posizione sulle sedie favorisce meno un certo rilassamento corporeo, e c'è un minore contatto con il terreno.
Miriam Polster ci ha fatto notare come si colloca la persona nello studio, come si siede, come si inserisce se si costringe in maniera tale da inserirsi nell'ambiente o se si mette in una posizione che è l'ambiente ad accoglierla.
Già dai primissimi minuti della seduta il terapeuta può cogliere tutta una serie di segnali su come ogni individuo nel gruppo aggredisce l'ambiente e utilizza il proprio sistema scheletrico-muscolare, il modo di respirare, se sta vicino o lontano dagli altri, qual'è la distanza dal terapeuta, se è alla ricerca di un contatto fisico, se è un isolato etc.
La scena iniziale (ed in ogni seduta ci sono continuità e differenze) è quindi un set animato, dove la persona attraverso il corpo ed i suoi movimenti lancia frecce - come dice Erving - e così può iniziare la relazione terapeutica.